Cronaca
Spray e moschetto, No Tav perfetto
Pubblicato
7 anni fa|
Editor
Enrico Steidler
All’armi! All’armi! All’armi siam squadristi, terror dei giornalisti. Coi se e coi ma – è noto – non si fa la storia, e tuttavia un interrogativo resta in piedi: cosa sarebbe successo, nel lontano eppur così vicino 1922, se la “manifestazione” organizzata dal Movimento No Dem in camicia nera non fosse stata autorizzata? Avremmo vissuto comunque un ventennio in riga e sull’attenti o ci saremmo salvati in extremis? Difficile dirlo, ma una cosa è sicura: a più di novant’anni di distanza da quell’ora fatale, la storia sembra ripetersi, e i protagonisti sono sempre gli stessi: un branco di aggressori da una parte, e istituzioni goffe e inette dall’altra.
QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI – “Giornalisti come poliziotti e carabinieri: o stanno in testa o stanno in coda al corteo”. Gli ordini non si discutono, soprattutto se a impartirli è il più forte, e i “terroristi infami” sono quindi costretti a precedere la sfilata dei No Tav tenuti a debita distanza da insulti e minacce. E’ cominciata così, alle 15.15 di ieri, la marcia su Milano del movimento ostile alla linea ferroviaria Torino-Lione, un lungo serpentone di attivisti (circa settecento) che ha attraversato il centro della metropoli lombarda – da piazza XXV Aprile a piazza XXIV Maggio, Porta Ticinese – paralizzando il traffico, minacciando chiunque si azzardasse a fotografare o a filmare il corteo e lasciando numerosi segni del suo passaggio. Accanto ai manifestanti perbene, infatti, si agitano i soliti professionisti della guerriglia civile – fra cui spiccano gli immancabili militanti dei centri sociali – e la loro firma si legge un po’ ovunque, da via Farini (danni alla filiale della Cariparma, a un impianto di videosorveglianza del bar Biffi e alle mura del convento di Sant’Antonio) al cimitero monumentale (esposto uno striscione contro il pm Antonio Rinaudo, “reo” di aver sbattuto in galera quattro camerati del No Tav), da largo Cairoli (dove il cantiere dell’Expo è stato bersagliato da pietre, bottiglie e petardi) a viale di Porta Vercellina, teatro del gesto più eclatante e “simbolico” dell’intera manifestazione (due attivisti riescono a lanciare alcuni petardi all’interno del carcere di San Vittore, mentre gli altri scandiscono slogan contro Andrea Padalino, altro pm sulla loro lista nera, e scrivono “Digos, neanche il fascino della divisa” sui muri del penitenziario).

La sede del Sole 24 Ore imbrattata dai No Tav
GIORNALISTA TERRORISTA – Malgrado tutto ciò, il bilancio del solito pomeriggio da delirio – ah, pure la Banca Intesa di Piazzale Cadorna e l’Unicredit di via Bramante sono state travolte dalla furia degli squadristi – è da considerarsi positivo: nessuno si è fatto male, infatti, e il bicchiere mezzo pieno sembra quasi un trionfo. Certo, magra consolazione se si pensa a Giuseppe Biraghi (la guardia giurata vigliaccamente malmenata – trauma cranico, una costola rotta e 15 giorni di prognosi – da cinque No Tav incappucciati la notte precedente), e ancor più magra se si considera la facilità con cui gli stessi delinquenti sorpresi da Biraghi mentre imbrattavano le vetrate d’ingresso della sede del Sole 24 Ore hanno poi proseguito la loro opera contro gli altri obiettivi del raid, Corriere della Sera, Il Giornale, Il Giorno, Repubblica e persino Radio Deejay. La situazione, però, è questa, e se l’informazione è finita nel mirino consoliamoci pensando che nessuno, in fondo, ha ancora premuto il grilletto.
A questo siamo arrivati, e il fatto che un’intera città sia presa in ostaggio da poche centinaia di black shirt la dice lunga, lunga come un corteo, su una società in cui non c’è difesa dai violenti, la democrazia è sospesa e le ragioni della protesta finiscono in così pessime mani.
Enrico Steidler
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