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Cori razzisti contro Adebayor: l’Inter evita la squalifica

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Cori razzisti contro Adebayor: l’Inter evita la squalifica

NYON (Svizzera), 19 MARZO“Un episodio grave, la gara doveva essere sospesa. Non mi interessa la squalifica del campo, ma bisognava dare un segnale forte. Parole di Villas Boas? No. Del presidente del Tottenham? Neppure. Di Adebayor, allora! Neanche. Le parole sono di Massimo Moratti: era il 21 settembre 2009, e il presidente dell’Inter manifestava in questi termini (comprensibili e condivisibili) la sua indignazione per i cori razzisti rivolti dai tifosi del Cagliari a Samuel Eto’o e a Mario Balotelli. Ora invece, chissà perché, il numero uno nerazzurro casca dalle nuvole, dice di non aver sentito nulla (ma in realtà pare che si sia letteralmente infuriato ascoltando le nefandezze degli ultrà) e si limita a sottolineare il suo impegno contro l’intolleranza e l’inciviltà: “Parla la mia storia, ho sempre condannato ogni forma di razzismo e mi sono battuto per evitarlo. Non abbastanza, evidentemente.

IL FATTO – Al centro dell’attenzione, e delle polemiche, i cori razzisti intonati dalla curva nerazzurra all’indirizzo di Emmanuel Adebayor (e di Jermain Defoe) durante Inter-Tottenham di giovedì scorso: erano molto facili da sentire – dichiara Villas Boas, tecnico dei londinesi, che aggiunge – “E’ difficile per l’Inter, e non è la prima volta”. “Disgustato” l’americano Brad Friedel, portiere degli Spurs, che sfoga la sua amarezza in un’intervista rilasciata al quotidiano inglese Sun: ”L’Uefa può continuare ad organizzare campagne e iniziative in merito, ma finché certi comportamenti non verranno insegnati nelle scuole in certi paesi non cambierà mai nulla. Mia moglie è delle Barbados, vivo il razzismo da vicino. E’ un fenomeno mondiale che coinvolge gente molto ignorante”. Gli fa eco Arsène Wenger, allenatore dell’Arsenal, con parole ancora più mirate e pesanti: “Non so se attualmente si faccia abbastanza per porre un argine a questa piaga. Certamente la situazione è migliore rispetto a qualche anno fa, ma c’è ancora molto da fare. Le squadre inglesi soffrono questo trattamento molto spesso in occasione delle loro trasferte italiane. Ma non credo che la risposta giusta sia quella di abbandonare il campo, penso che la miglior cosa da fare sia individuare i responsabili e punirli. Se lasci il campo perdi la partita e in questo modo concedi un enorme potere proprio a coloro che dovresti combattere. Una possibile soluzione sarebbe invece bandire questi tifosi dal calcio o, in alternativa, bandire i club che non puniscono certi atteggiamenti”. Il Mirror vendica l’affronto subìto titolando: “Adebayor salva gli Spurs e zittisce i razzisti di Milano”.

L’INCHIESTA DELL’UEFA – L’ennesimo episodio di intolleranza proveniente dal nostro Paese non passa inosservato e l’Uefa avvia una procedura disciplinare nei confronti del club nerazzurro, sul quale ricade la responsabilità del “comportamento razzista” dei suoi sostenitori, dell’insufficiente organizzazione e del lancio di numerosi petardi sul campo. A pesare come macigni non sono solo le parole di Friedel e Villas Boas ma i referti di Piara Powar, delegato del FARE (Football Against Racism in Europe) e di quello dell’Uefa Speczik (che prende nota dei cori facendo però riferimento, a quanto pare, al solo Jermain Defoe): sull’Inter, quindi, aleggia lo spettro della squalifica.

IN ARRIVO UNA MAXI-MULTA – L’ipotesi peggiore, però, è scongiurata. Il 19 aprile, quando l’Uefa si pronuncerà sul caso, arriverà con ogni probabilità solo una (pesante) sanzione e niente più. L’Inter non ha precedenti specifici in campo europeo e dovrebbe quindi cavarsela col minore dei mali. “Ma le sanzioni non servono” – dichiara sconsolato Piara Powar – Tutte le partite degli Spurs in Italia in questa stagione sono state classificate a rischio razzismo da noi. Credo che il calcio italiano stia attraverso una mini-crisi, forse perché la società italiana solo ora si sta confrontando con la propria diversità”.

SCHIAFFETTI IN ITALIA, MAZZATE IN INGHILTERRA – Ma il problema grosso di noialtri “brava gente”, al di là delle analisi sociologiche, è la difficoltà – per non dire incapacità – di punire i colpevoli in modo esemplare. Qui da noi si va avanti a colpetti di Daspo e a multe ridicole (la Juventus, pur già diffidata, ha sborsato solo 4mila euro per gli insulti razzisti rivolti dai suoi tifosi ai napoletani e a Balotelli) mentre altrove (vedi l’Inghilterra, ad esempio) chi sgarra paga, e paga di brutto. Questo non vale solo per i tifosi ma per tutti, anche per i calciatori: per una parola di troppo a Evra, Luis Suarez si è beccato 8 giornate di squalifica e 40mila sterline di multa, e ancor peggio è andata John Terry, che per aver rivolto un insulto razzista a Ferdinand ha perso la fascia di capitano della Nazionale inglese ed è stato pure querelato. Il tutto, naturalmente, sostenuto e accompagnato dal più vasto consenso popolare. In Italia invece, ogni episodio, anche il più orrendo, è quasi sempre considerato insufficiente a motivare sanzioni esemplari, e il piagnisteo di presidenti e tifosi prevale sulla necessità (eppure largamente sentita) di punire i colpevoli ed estirpare la mala pianta. E come se non bastasse, ci tocca pure subire il solito insopportabile teatrino finalizzato a edulcorare la realtà e a salvare l’immagine contro ogni evidenza del contrario.

PROVE TECNICHE DI RIDIMENSIONAMENTO: LE DIECI REGOLE D’ORO – Fateci caso: qui da noi funziona così. Il pubblico ulula quando il giocatore di colore tocca il pallone? Intona cori razzisti e agita banane gonfiabili? Espone striscioni di raccapricciante idiozia? Nessun problema, o quasi: per cavare d’impaccio (o almeno provarci) il presidente di turno e attenuare il più possibile i provvedimenti disciplinari previsti dal codice esiste una precisa strategia comunicativa, roba vecchia – a dire il vero – ma di sicuro effetto. Per ragioni di spazio la riassumiamo come segue (tenete presente che la scaletta non è tassativa: il presidente, o chi per lui, può saltare da un punto all’altro a seconda delle circostanze, quel che conta è dirli tutti):

1) il nostro è un pubblico meraviglioso;
2) anche la gente di questa città è meravigliosa;
3) sì, è vero, c’è qualche irriducibile cretino (“Meglio penalizzati che pentiti” è l’ultimo meraviglioso striscione esposto dai tifosi della Lazio), ma sono quattro gatti;
4) questi pochi cretini infangano l’immagine di tutta la tifoseria e dell’intera città che, lo ripetiamo, sono meravigliose;
5) non è giusto che per le colpe di pochi debbano pagare anche tutti gli altri;
6) sono anni che mi batto contro il razzismo;
7) le forze dell’ordine presenti allo stadio non si sono accorte di nulla;
8) l’episodio è stato molto ingigantito;
9) la tifoseria è stata provocata dagli atteggiamenti del giocatore/dei giocatori;
10) faremo appello, la giustizia trionferà.

I primi quattro punti possono essere utilizzati (e di fatto lo sono) anche dai rappresentanti delle istituzioni (assessori comunali, sindaco, prefetto, ecc.), non meno preoccupati, pure loro, di salvare il salvabile e confondere le acque. Basta avere l’accortezza di inquadrare il discorso nel solito contesto (il problema è molto più ampio e chiama in causa le responsabilità dell’intera società, della scuola, ecc., ecc.) e il gioco è fatto. Certo, tutto ciò non è altro che una gigantesca supercazzola come se fosse antani, però dalle nostre parti funziona. Purtroppo.

Enrico Steidler

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