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Il caso Stendardo: dura lex, sed lex

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"Sul rispetto delle regole non intendo ragioni!" sembra dire Colantuono.
"Sul rispetto delle regole non intendo ragioni!" sembra dire Colantuono.

“Sul rispetto delle regole non intendo ragioni!” sembra dire Colantuono.

BERGAMO, 12 DICEMBRE – “Ho scelto l’Atalanta perché è una società seria e prestigiosa. Quando mi è arrivata questa proposta non ho avuto alcun dubbio nell’accettare.(…) E poi è stato decisivo l’intervento di mister Colantuono che conosco benissimo: c’è stima reciproca e l’opportunità di poter lavorare con lui mi gratifica. Vengo per dare il massimo e aiutare la squadra a raggiungere la salvezza”.

Sembrano passati anni-luce da quando, nel gennaio di quest’anno, Guglielmo Stendardo rilasciava queste dichiarazioni a commento del suo approdo all’Atalanta. Oggi, infatti, come molti sanno, la realtà è ben lontana da simili sviolinate e parla di un certo dissapore creatosi fra Colantuono, che ha negato al giocatore il permesso di partecipare agli esami per diventare avvocato perché ciò contrasta con l’interesse della squadra (gli impegni con la Roma in Coppa Italia e con la Juve in campionato sono troppo importanti per consentire deroghe) e lo stesso Stendardo, fortemente determinato a prendere parte alla selezione – che dura tre giorni – per non essere costretto a rifare l’esame scritto e perdere un anno.

Ci siamo confrontati sia con lui che con la società – ha affermato il tecnico atalantino ai microfoni di Sky – e Guglielmo ha fatto la sua scelta. Farà un esame che avrebbe anche potuto rimandare di un anno visto che non eserciterà nei prossimi mesi la professione di avvocato. Io devo pensare alla squadra e in questa settimana ci giochiamo una fetta importante di stagione. Io lo capisco ma lui deve capire noi, i panni sporchi li laveremo comunque in casa, è un caso delicato.

Oltre che delicato, il caso (che lì per lì sembra essere il classico scontro far opposte ragioni) è sicuramente singolare e merita, credo, di essere brevemente approfondito.

A prima vista, infatti, penso che sia istintivo simpatizzare per Stendardo: abituati, come siamo, a giocatori che fanno i capricci per partecipare al Carnevale di Rio o che si fanno sanzionare duramente perché sorpresi a fare le ore piccole in discoteca, proviamo un certo trasporto per chi trascorre il tempo libero piegato sui libri, soprattutto se si considera quanto siano poco diffuse, fra i calciatori, la propensione per lo studio e la determinazione a sacrificarsi per esso.

Detto questo, e aggiunto un sincero complimento per il giocatore, che contribuisce a diffondere un po’ di cultura laddove indubbiamente scarseggia (sul campo e, diciamolo, anche intorno), è però necessario evidenziare un aspetto essenziale, così essenziale da mettere in secondo piano qualsiasi altra valutazione, per quanto sensata e condivisibile: chi viene pagato (e pure bene) per svolgere un lavoro, deve svolgerlo. Punto. Si tratta, in fondo, di una questione di rispetto, che non è solo il rispetto delle regole (sono ben altre le ragioni che giustificano l’assenza dal posto di lavoro), ma anche, e soprattutto, della propria professionalità. A tale riguardo, giova ricordare una volta di più che Guglielmo Stendardo non è laureato in medicina o in biologia, ma in giurisprudenza. Ma come? Proprio tu, verrebbe da dirgli in tono confidenziale, che dovresti essere depositario e custode di quei valori (e delle norme che ne derivano) che stanno alla base della convivenza civile – e della vita di tutti i giorni in una squadra di calcio – proprio tu sei il primo a trasgredirli?

Fa bene Colantuono, quindi, e a maggior ragione, a censurare la condotta del suo giocatore: il comportamento negativo del singolo, infatti, se non viene subito circoscritto dal biasimo e dalla sanzione, può facilmente alterare quei delicati equilibri che consentono a un gruppo di uomini (ognuno coi suoi problemi e le sue aspettative più o meno legittime) di collaborare proficuamente in vista di un obiettivo comune.

Certo, è ragionevole supporre che il rapporto fra i due fosse già un po’ incrinato (d’altra parte, Stendardo non è nuovo a incomprensioni con l’allenatore, come ben sanno Delio Rossi e Ballardini): forse, in altre circostanze, il mister sarebbe stato più propenso a fare il beau geste e a consentire al giocatore di partecipare agli esami. Ma comunque sia, è ovvio che in assenza di un permesso il professionista non ha scelta: deve fare il suo dovere.

Aggirare l’ostacolo e pagare la multa, dentro uno spogliatoio, non è come trovare il cavillo vincente in un’aula di tribunale. Non vi è nulla di esemplare in tutto ciò, se non nel senso deteriore del termine. Ora, io non so se il titolo di studio, che tutti auguriamo a Stendardo di riuscire a conseguire, servirà ad avviarlo alla professione di avvocato civilista, penalista o tributarista, ma immagino come si sarebbe comportato Mourinho in un simile frangente: avrebbe preso da parte il giocatore e gli avrebbe detto: “vai a dare gli esami? Bene: considerati convocato in tribuna da qui alla fine del campionato. Puoi andare”.
Dura lex, sed lex.

Enrico Steidler

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