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Bari, alla ricerca dell’identità perduta
Fc Bari 1908 facci vedere chi sei, avremmo potuto dire: sì, perchè la nuova creatura del Presidente Gianluca Paparesta è rimasta ad uno stato embrionale; squadra cambiata radicalmente nella campagna estiva, non tanto e non solo nei calciatori – molti della remuntada essendo rimasti – quanto nella dirigenza tecnica e nelle premesse tattiche che ne avevano permeato il gioco negli anni precedenti: via il 4-3-3, via il duo Alberti-Zavettieri, via Angelozzi, e dentro Mangia, discepolo sacchiano del 4-4-2 – poi abbandonato per un ritorno al modulo con i tre in attacco – dentro il nuovo ds Antonelli, nuovo spirito, nuovo logo, nuovo entusiasmo, undicimila abbonati (record stagionale per la B) e spazio a tanti sogni di gloria; l’apprendistato però nel calcio è duro e tante aspettative dopo dieci giornate sono naufragate: Mangia viene esonerato il 16 novembre scorso dopo la scoppola di Crotone (3-0), ultimo in classifica.
Al suo posto arriva Davide Nicola, ex Livorno, che crede in un calcio fatto di intensità e semplicità e ripropone il credo tattico che gli era sortito la promozione con i labronici, un 3-4-1-2, talvolta 3-5-2, con cui otterrà una media punti anche inferiore al suo predecessore, fino alla campagna di riparazione. A gennaio va via Sciaudone, emblema della rincorsa del campionato precedente, e arrivano tutti giocatori funzionali al modulo di Nicola e da lui espressamente richiesti (in realtà arrivano nuovi calciatori nei ruoli richiesti da Nicola, ma non esattamente quelli da lui proposti).
Il ritorno comincia con due pareggi, uno interno contro l’Entella – quando ancora mancavano i nuovi – e uno a Perugia. Poi arriva il sonante 4-0 contro il Frosinone e quando si sperava in una svolta, arrivano le batoste a Livorno (5-2) e in casa con il Vicenza (0-1). Nelle successive due gare ecco il Bari che non t’aspetti, con un – a furore di popolo- ritorno al 4-3-3 (ma i giocatori chiesti a gennaio non erano tagliati per un altro modulo?): due vittorie, interna con il Lanciano (2-0) e – dopo alcuni mesi di digiuno esterno – a Modena (0-1). L’uno a uno interno con il Catania è cronaca recente. Insomma un Bari che cambia pelle ogni due mesi, ischemico, altalenante, della serie ‘o tutto o niente’, che tradotto in numeri vuol dire essere, insieme a Crotone e ProVercelli, la squadra con il minor numero di pareggi (7 su 29): il resto 10 vittorie e 12 sconfitte. Questi numeri esprimono un’ossatura di squadra molto esile: si è cercato l’inizio di un nuovo ciclo, snaturando una filosofia – e forse un gruppo – a favore di qualcosa che tutto poteva dirsi tranne che qualcosa di amalgamato e fluido, piuttosto ne è venuta fuori una creatura ibrida e indistinta.
Ora il Bari è atteso al varco dall’Avellino, nella tana dei lupi: gara attesa anche dalle tifoserie, poco inclini alle effusioni. I biancorossi distano 5 punti dalla zona play-off e 4 dalla play-out. Ricercare un’identità vuol dire anche aver chiaro un obiettivo, se guardare in alto o mirare in basso. Battere una squadra tosta come quella di Rastelli vorrebbe dire vedere la meta, per poi poterla inseguire.
Fulvio Fontana