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Allarme rosso ultrà: per l’Aic un calciatore su tre ha subito violenze e minacce

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Dal caso Felice Evacuo a Genny ‘a carogna, dalla famigerata Salernitana-Nocerina ai giocatori del Padova costretti a consegnare le maglie ai tifosi inviperiti. C’è questo e (tanto) altro nel rapporto-grido d’allarme reso noto ieri dall’Assocalciatori “per denunciare un problema talmente diffuso da essere ormai generalmente tollerato, e il dato complessivo che ne emerge è a dir poco inquietante: nel corso della stagione sportiva 2013/14 il 35% dei calciatori professionisti e dilettanti – rispettivamente il 62 e il 38% del totale – è stato oggetto di atti di violenza fisica da parte degli ultrà, e il 28% ha subito minacce anche per iscritto (striscioni e lettere intimidatorie). Non desta meraviglia, in un simile scenario, un dato che è comunque sconfortante: per un calciatore, i propri tifosi sono pericolosi quasi come quelli avversari (47 a 53). Altrettanto poco sorprendente, infine, è la distribuzione geografica del fenomeno, molto più radicato al Sud (44%) che nelle altre regioni, con la Campania a fare la parte del leone.

Ultrà in azione

Ultrà in azione

TERRIFICANTE ANOMALIA“Dobbiamo, noi calciatori prima di tutto, capire e sapere che tutto questo non è normale, sottolinea Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori. “Non è normale rischiare l’incolumità fisica per un risultato, subire umiliazioni e violenze psicologiche perché il rendimento non è quello atteso. Non è normale che siano i propri sostenitori parte attiva in questo comportamento anomalo e fuori luogo. Oltre ad un faro acceso – aggiunge l’ex centrocampista della Roma – questo Rapporto vuole essere, quindi, anche l’inizio di un cambio di coscienza“. “Si tratta di una problematica di civiltà e di rispetto delle regole – gli fa eco il presidente della Figc, Giancarlo AbeteQuesta iniziativa fornisce un’analisi dei fatti per cercare di intervenire in termini correttivi, e al contempo stimola una forte riflessione sulla qualità della formazione e dell’educazione. D’altronde, come ha fatto notare il premier, Matteo Renzi, per fenomeni che riguardano l’intera società italiana, bisogna fare attenzione a non nascondersi: le norme esistono, sono i giusti comportamenti a mancare”.

PAROLA DI GIGI“Serve un cambio di mentalità e serve subito, perchè questo non è tifo, questo non è normale scrive Gianluigi Buffon sul suo profilo di Facebook. “Sono casi già noti alla stampa, ma messi tutti insieme fa davvero rabbrividire leggere di tanta violenza e intimidazione nei confronti di giocatori la cui unica colpa la maggior parte delle volte è quella di non essere riusciti a vincere una partita. Tutto questo non è normale, non è normale essere minacciati fisicamente per una retrocessione o per aver sconfitto sul campo la propria squadra del cuore. E forse la cosa che ulteriormente mi rattrista – conclude il portierone azzurro – è leggere che la quasi metà di queste azioni sono fatte dai propri sostenitori, da coloro che dovrebbero con il loro calore e affetto trasmettere quella marcia in più alla squadra”.

Gigi Buffon

Gigi Buffon

PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE – Ecco, diciamolo chiaramente (purtroppo): se c’è una cosa che non potrà mai cambiare subito è proprio la mentalità: per quella ci vogliono anni, forse decenni in un Paese come il nostro, dove siamo abituati da sempre ad auto-affibbiarci la patente di “brava gente” malgrado le nefandezze di cui siamo responsabili, dalla politica agli stadi. Se c’è una cosa, invece, che deve cambiare da subito (l’unica che può farlo, visto che anche il sospirato rinnovamento ai vertici delle istituzioni è una chimera, almeno nel breve termine) è la tattica di combattimento, a iniziare da quelle norme che secondo Abete esistono e che tuttavia non incidono sui comportamenti. E siccome anche l’inasprimento delle sanzioni – pur necessario e urgente – non può avere effetti taumaturgici laddove le galere scarseggiano e straripano, è ovvio che quella della prevenzione è l’unica strada che ora possiamo percorrere con successo.

FATTI, NON BLA-BLA – Quel che è sicuro, è che il problema è innanzitutto di ordine pubblico, e che non possiamo più spendere milioni di euro per garantire la sicurezza (prima, durante e dopo le partite di calcio) sottraendo le forze dell’ordine a ben altri e più gravosi compiti; col risultato, poi, di dover fare la conta dei danni, dei feriti e delle figuracce planetarie che ci fa tutto il sistema-Italia. La prima cosa da fare, quindi, e da fare subito, è vietare le trasferte per tutte le tifoserie che si sono già rese protagoniste di episodi vergognosi (striscioni inneggianti a Superga o all’Heysel, ad esempio), di intimidazioni e di violenze, e di farlo per almeno due anni. Solo i sostenitori di Chievo, Sassuolo e pochissimi altri club – dalla Serie A alla Lega Pro – hanno quindi il diritto di seguire la propria squadra in trasferta e di frequentare quelle catapecchie pericolose che sono i nostri stadi. Gli altri a casa, che è sempre meglio che in galera, sia per loro che per le galere.

Questo, naturalmente, non risolve il problema delle aggressioni che i calciatori subiscono dai propri tifosi, ma è già un bel segnale. Finché non saremo capaci di fare almeno questo primo, necessario passo, saremo ostaggio di poche migliaia di delinquenti, e ogni richiamo alla fermezza farà la stessa fine della nostra dignità, persa al cospetto di Genny ‘a carogna, e delle nostre speranze di gloria. E’ il ranking della civiltà, infatti, che dobbiamo urgentemente scalare se vogliamo avere un futuro. Ora, o mai più.

Enrico Steidler

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