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La maglia numero 88 è un tabù, ma non per il “Profeta”
Pubblicato
7 anni fa|
Editor
Enrico Steidler
1 febbraio 2014. Anderson Hernanes de Carvalho Viana Lima, in una parola Hernanes, il talentuoso centrocampista della Lazio e della nazionale verdeoro acquistato dai nerazzurri agli sgoccioli del mercato riparatore di gennaio (che nel caso dell’Inter sarebbe più corretto definire “rattoppatore”), annuncia di aver scelto il numero 88 per la sua nuova maglia black & blue, e la notizia non provoca alcun clamore. Ma che strano! Soltanto sei mesi fa Marco Borriello – appena approdato alla Roma – era finito nell’occhio del ciclone per colpa di quel numero “maledetto”, ed era riuscito a mettersi in salvo solo grazie a un rapidissimo dietro-front: 88? No grazie, meglio il 31…

Hernanes e la sua nuova maglia numero 88
2 febbraio 2014. Si aspetta, seppure a scoppio insolitamente ritardato, la veemente reazione dei rappresentanti della Comunità ebraica – la lettera H, infatti, è l’ottava dell’alfabeto e quindi 88, nella numerologia delle famigerate SS, sta per HH, Heil Hitler! – ma questa non arriva e coglie tutti di sorpresa: nessuna levata di scudi, nessun grido di dolore. Ma come? Dove sono andati a finire gli indignados (fra cui, ad esempio, Ruben Della Rocca, assessore alle Relazioni Istituzionali della Comunità Ebraica di Roma) che si guadagnarono le prime pagine di tutti i giornali mettendo in croce l’incauto Borriello? E che nel 2000 riservarono lo stesso trattamento, e per la stessa ragione, all’allora portiere del Parma Gianluigi Buffon? Quali sono i motivi di questo assordante silenzio? Perché due pesi e due misure?
MUTISMO E RASSEGNAZIONE – “Ci auguriamo che il prossimo anno calcistico (la stagione in corso, ndr) sia all’insegna della sportività e che gli episodi di razzismo e antisemitismo che si sono susseguiti nelle ultime stagioni, sugli spalti e nei campi di calcio, vengano debellati” aveva detto Della Rocca lo scorso agosto promettendo urbi et orbi di mantenere alta la guardia. Eppure, a quanto pare, questa è stata inspiegabilmente abbassata: domenica 9 febbraio il campione brasiliano ha esordito alla Scala del calcio con la maglia incriminata ed è tutto filato liscio come l’olio. Nessun anatema, nessun titolo a caratteri cubitali, niente di niente. Anche l’Italia, quindi, si allinea agli Stati Uniti (Paese notoriamente ostile a Tel Aviv…vero?), dove chiunque può esibire il numero 88 senza guadagnarsi i disonori della cronaca.
PERCHE’? – Lunedì scorso ci siamo rivolti per iscritto all’ufficio stampa della Comunità ebraica di Roma per avere lumi su questo brusco e inatteso cambiamento di rotta, ma non abbiamo ricevuto risposta. Proviamo, allora, a fare almeno un’ipotesi.
Il “Profeta” è un discorso a parte. Può forse essere sospettato di insane simpatie colui che Tiago Leifert, noto presentatore di Globoesporte, soprannominò “il Profeta” per la sua grande confidenza con la Bibbia e le sue citazioni? Certo che no, ed ecco spiegato il silenzio. In altre circostanze, invece, il dubbio ci può stare, e i vigilantes della Comunità si regolano di conseguenza. Emblematico il caso di Buffon: quando l’allora portiere del Parma scelse il numero 88 – “simboleggia quattro palle”, dichiarò lui proclamando la sua innocenza – era infatti ancora fresco il ricordo della maglietta con la scritta Boia chi molla che il Gigi nazionale aveva mostrato con orgoglio alla curva gialloblu (e che gli costò il deferimento alla commissione disciplinare). Due indizi fanno una prova, pensò Vittorio Pavoncello, responsabile dello sport della comunità ebraica di Roma, e il futuro campione del mondo, subissato di critiche, fu costretto a ripiegare su un meno equivoco 77. Per dovere di cronaca, fu proprio durante i festeggiamenti al Circo Massimo per la vittoria ai Mondiali del 2006 che Buffon sbandierò uno striscione con la scritta Fieri di essere italiani accanto a una croce celtica…
A pensarci bene, però, c’è anche un’altra possibilità: contrordine compagni, questa storia del numero 88 è una sciocchezza…..(ma che resti fra noi). In tal caso evviva! Anche se tardivo, l’inatteso ravvedimento è quanto mai provvidenziale e lo accogliamo con un sentito “mi piace”. Nessuno pretende, in fondo, che siano rese pubbliche le motivazioni: il silenzio è d’oro, e va bene così.
Enrico Steidler
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