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Arte&Cultura

Milano celebra Miró (e la degenerazione dell’arte)

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Se guardiamo a quello che è stato prodotto intorno a noi nell’ultimo secolo, soprattutto nel secondo dopoguerra, ci accorgiamo di essere circondati dal brutto. Brutte chiese, brutte case, brutti arredi urbani, brutto tutto, o quasi. Perché? Le ragioni sono tante, e una di queste di chiama Joan Miró, il super-declamato pittore, scultore e ceramista di Barcellona le cui opere – esposte fino all’11 settembre al Museo delle Culture di Milano – sono il vero e proprio trionfo dell’insensata corruzione estetica, gabellata per arte, che oggi si riflette in buona parte dei manufatti umani.

Sì, perché è l’arte a dettare la linea, per così dire, e quella del Novecento ha elevato l’incomunicabilità e lo sfregio a modelli da seguire in ogni nostro slancio creativo; il risultato – monumenti orrendi, panchine ‘futuriste’, chiese che sembrano luoghi di supplizio, ecc. – è sotto gli occhi di tutti.

Joan Miró, "El segador" (Il mietitore), 1937

Joan Miró, “El segador” (Il mietitore), 1937

Certo, la colpa non è solo dei ‘sogni materici’ di Miró (il cui famosissimo ‘Mietitore’, simbolo dell’identità nazionale catalana, potrebbe tranquillamente intitolarsi ‘Polluzioni notturne’ per quello che rappresenta, cioè niente), degli spruzzi di Pollock o dei tagli di Fontana, ma è di tutti un po’, a partire da quella – imperdonabile – di Picasso: “Uno non dipinge quello che vede, ma ciò che sente, quello che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto”.

Ecco, è proprio così che l’arte figurativa – sublime linguaggio nato per comunicare – si è ridotta a muto soliloquio, a ghirigoro esoterico spacciato per geniale intuizione da critici e galleristi a dir poco disinvolti. “La pittura tradizionale andrebbe stuprata, uccisa e assassinata” amava ripetere Miró, e se si pensa che Jacques Prévert descrisse lo spietato serial killer catalano come un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni“, allora si intuiscono al volo le dimensioni dell’abbaglio culturale che ancora oggi ci acceca.

“Joan Miró – si legge sul sito del Mudec – sperimenta l’esigenza di una fusione tra pittura e poesia, sottomettendo la sua opera a un processo di semplificazione della realtà che rimanda all’arte primitiva, al tempo stesso punto di riferimento per l’impostazione di un nuovo vocabolario di simboli e strumento utile a raggiungere una nuova percezione della cultura materiale”. Tutto chiaro, vero? Certo, come la fregatura che sta sotto.

Enrico Steidler

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