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Arte&Cultura

Tamara de Lempicka, pittrice vera nel secolo dell’arte ‘sfigurativa’

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“La migliore definizione di Tamara de Lempicka – scriveva Pier Francesco Borgia nel 2011 presentando una mostra romana della sensualità fatta pittricela offrì proprio sulle pagine del Giornale il critico Elena Pontiggia, secondo la quale la contessa polacca è «un’artista che molti conoscono benissimo, anche senza sapere esattamente chi sia». La sua fama è dovuta principalmente a due fattori: da un lato l’assoluta fedeltà a una cifra affatto personale e perseguita con costanza lungo tutto l’arco della sua carriera; dall’altro c’è la sua vita tormentata e turbolenta che ne ha fatto di lei un personaggio letterario prima ancora che una persona reale”. Ok, vero, ma forse si fa prima – e meglio – a metterla così: Tamara de Lempicka è famosa perchè i suoi quadri sono belli. Meravigliosamente belli.

Tamara de Lempicka: "Autoritratto (Tamara sulla Bugatti verde)", 1925

Tamara de Lempicka: “Autoritratto (Tamara sulla Bugatti verde)”, 1925

E’ in essi che risiede la sua immortalità: è nello spirituale erotismo della Comunicanda, nello sguardo inafferrabile della Ragazza in verde e in quell’abito attillato che la mette ‘a nudo’; è nella malizia innocente di sua figlia Kizette e in tutti gli altri chiaroscuri dell’anima ritratti con impareggiabile maestria e grazia tutta femminile. Nei suoi quadri, però, non c’è solo il mondo di Tamara, quello agrodolce di una nobildonna eccentrica e gaudente che ha fatto della sua stessa vita un’opera d’arte, ma anche la società umana che lo circonda, una società – quella compresa fra le due guerre – frivola e modaiola, perennemente in bilico fra luce e ombra, cielo e abisso.

Una pittrice vera, insomma, e un’artista ancor più brava se si pensa che solo lei e pochi altri suoi contemporanei (Hopper e Grant Wood, ad esempio) sono stati capaci di rinnovare il linguaggio della pittura del Novecento senza renderlo incomprensibile, senza ridurlo a ‘spruzzo’ insensato o a psichedelica geometria.

Ce n’è quanto basta, sotto questo aspetto, per guadagnarle un posto in prima fila nella storia dell’arte contemporanea; e anche, purtroppo, per farci sentire la terribile mancanza di una grande come lei.

Enrico Steidler

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