Storie di sport
Le calciatrici che sfidarono il Duce
Pubblicato
2 anni fa|
Editor
Alessandra Santoro
Estate 1932. A Castiglioncello, vicino Livorno, un gruppo di ragazzine milanesi in vacanza prova per la prima volta a giocare a calcio. Per alcune l’idolo da imitare è l’attaccante del Bologna Angelo Schiavio, per altre c’è solo il bomber nerazzurro Giuseppe Meazza. Fondano il Gfc, Gruppo femminile calcistico, la prima squadra femminile di calcio della storia d’Italia. Si procurano le maglie e gli scarpini. Trovano il modo di affittare dei campi. Si fanno fare una foto e la mandano a tutti i giornali, insieme a un comunicato che assomiglia molto a un manifesto: «Si può essere signorine per bene e praticare al puro scopo ginnastico lo sport del calcio». La loro missione: «Irrobustire il corpo e ingentilire l’animo».
GIOVINETTE, LA STORIA
Il loro sogno, però, è ben presto minacciato: sono anni, quelli, in cui la violenza fascista di Benito Mussolini dilaga in tutta Italia. Giocano per mesi, ma ben presto sono costrette a smettere. Il regime, infatti, glielo impedisce con l’obiettivo meschino che hanno tutte le dittature: quello di annullare la libertà, persino di giocare a calcio.
Adesso la storia di queste pioniere del calcio italiano è diventata un romanzo: Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce, scritto dalla giornalista Federica Seneghini, ha ricostruito la vita, gli amori e i sogni di queste ragazze dopo un lavoro di ricerca durato oltre un anno, basato sui documenti dell’epoca, riportati fedelmente nel libro, e sulle interviste fatte ai figli e ai nipoti dei protagonisti.
Non è solo un romanzo storico e non è solo una storia di calcio, o di sport. Racconta come eravamo e come in parte siamo ancora. Parla di coraggio, libertà e ingiustizie ancora attuali.
Lascia l’amaro in bocca, oggi, anche se sono passati quasi novant’anni, rileggere ciò che Rosetta Boccalini, stella del Gfc e protagonista del romanzo, prometteva alla rivista Calcio Illustrato, nel 1933: «Amo moltissimo il giuoco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai».
E poco importa che lei e le sue compagne, giovani promesse dello sport più amato dagli italiani, non si tirarono mai indietro per dimostrare le loro buone intenzioni. A cominciare dalla scelta estetica di indossare la gonna al ginocchio al posto dei pantaloncini delle altre calciatrici europee. E dalle regole che le giocatrici si erano imposte: tempi di massimo 20 minuti l’uno, un pallone più piccolo rispetto a quello usato dai ragazzi, passaggi solo rasoterra e soprattutto dei portieri maschi tra i pali.
Ma il calcio era comunque un’impresa poco adatta alle donne. E molti giornalisti di regime non si stancarono mai, per tutti i mesi in cui il Gfc rimase in attività, di ripeterlo sulle colonne dei quotidiani e delle riviste. «La donna è, e deve restare sinonimo di grazie a gentilezza»
Il Regime le lasciò giocare solo otto mesi, infatti, poi glielo impedì: la paura era quella che uno sport come il calcio potesse inibire le donne nel ruolo al quale erano state delegate: quello di mogli e madri. L’Italia fascista, infatti, aveva bisogno di buone madri, non di calciatrici. Dovranno aspettare il 1968 le donne, infatti, per vedere il primo campionato ufficioso di calcio femminile, il 1986 per avere quello istituito da una Federazione strutturata.
Ricordare la storia delle Giovinette è fondamentale. Il libro rappresenta una tappa, una delle tante della lunga marcia dei diritti delle donne nello sport e non solo. Antifascismo e amore per il calcio sono infatti i due ingredienti principali per la memoria di questa fantastica storia. Non è una coincidenza, infatti, e ci ricorda perché non bisogna mai arrendersi, dentro e fuori dal campo. Oggi le cose sono, fortunatamente, cambiate, ma la marcia è purtroppo ancora lunga. La memoria aiuta ma accanto ad essa ci vuole lo spirito e il coraggio che quelle giovani donne hanno dimostrato. La consapevolezza che la propria passione fosse così forte da lottare contro i poteri forti. Chissà se le Giovinette avrebbero mai immaginato che un giorno in Tv avrebbero fatto vedere delle ragazze giocare a calcio in tv. Quello che è certo è che ne sarebbero state felici.
Alessandra Santoro
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