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C’era una volta il bomber: le big di Serie A hanno perso l’attacco

C’era una volta il bomber, quello vero: nove sulle spalle, fiuto del gol, area di rigore come casa. Oggi, in Serie A, sembra diventato una specie in via d’estinzione. Si segna ancora, certo, ma sono sempre meno gli attaccanti a farlo. È un paradosso che riguarda soprattutto le big del nostro campionato, ormai costrette a cercare reti da reparti e interpreti diversi.
Basta osservare la classifica marcatori: in vetta, a quota cinque gol, non c’è un numero nove, ma Çalhanoğlu dell’Inter, simbolo perfetto del centrocampista moderno con licenza di affondare e colpire. Lo affianca Riccardo Orsolini, anche lui a quota cinque: attaccante sì, ma esterno, spesso sacrificato in nazionale da quinto di centrocampo, e due delle sue reti sono arrivate dal dischetto. A seguire, terzo posto con quattro gol, c’è Kevin De Bruyne: il diamante del centrocampo di Conte al Napoli, non certo un centravanti, e anche lui con tre reti arrivate dagli undici metri. Insomma, i cannonieri tradizionali sono ai margini, mentre centrocampisti ed esterni si sono caricati sulle spalle il peso dell’area avversaria.
La tendenza è evidente anche nella Capitale. Sponda giallorossa, Gasperini ha dovuto reinventare Dybala come centravanti vista la scarsa incisività di Dovbyk e Ferguson. Con l’argentino in quella posizione si aprono spazi, le combinazioni migliorano, la squadra trova più soluzioni. Ma la sfortuna ci mette lo zampino: l’ex Juve si è di nuovo fermato e starà fuori tre settimane, lasciando la Roma a dover nuovamente inventare il gol. Sponda Lazio, la musica non cambia: il recente 2-0 sul Cagliari porta le firme di Isaksen e Zaccagni, e la vittoria sulla Juventus era stata decisa da Basic, un centrocampista. Anche nel pirotecnico 3-3 con il Torino erano stati un mediano, Cataldi, e un esterno, Cancellieri, a gonfiare la rete.
Proprio il Torino rappresenta al momento l’eccezione che conferma la regola: Giovanni Pablo Simeone resiste come archetipo del centravanti da battaglia, già a quota quattro gol stagionali, insieme a Federico Bonazzoli, protagonista nella sorprendente Cremonese di Nicola. Nella lista dei “veri” attaccanti a segno c’è anche Thomas Castro del Bologna, anch’egli a quattro reti: non un nove classico per stazza e movimenti, più un centravanti moderno, dinamico e associativo.
E le big? Qui il discorso si fa più complesso. La Juventus può contare su Vlahovic e David, ma intanto la prima di Spalletti è stata decisa da Kostic e Cambiaso. Il Milan si affida al talento di Leao e Nkunku, complici le difficoltà di Gimenez. Il Napoli è orfano di Lukaku e Lucca non dà ancora le garanzie richieste a un attaccante di vertice. Le squadre sembrano insomma costrette a cercare soluzioni alternative: fantasisti trasformati in falsi nove, esterni che si accentrano, centrocampisti che si inseriscono, trequartisti che tirano da fuori. È un calcio più fluido e imprevedibile, certo. Ma è anche la fotografia di una crisi identitaria: quella del bomber all’italiana.
Le big segnano meno e segnano diversamente. E forse, in fondo, è un sintomo della salute, o della fragilità, del nostro calcio, alla disperata ricerca di un nuovo Re Mida del gol.
















