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Re Cecconi e Di Bartolomei: il destino tragico degli eroi romani
Pubblicato
4 mesi fa|
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Osservatorio Sportcafe24
Re Cecconi e Di Bartolomei hanno poco in comune. Caratteri agli antipodi, carriera molto diversa. Ad accomunarli è stata Roma e un tragico destino. Di Bartolomei era figlio di Roma, Re Cecconi era stato adottato nella capitale dato che lui era nato a Nerviano, comune metropolitano della provincia di Milano.
Il bruno Agostino, taciturno e riservato,fu sempre legato alla società giallorossa sin dai suoi esordi nelle giovanili. Tra il 1972 e il 19884 vestì solo la maglia della Roma, a parte una breve parentesi di un anno a Vicenza. Il biondo Luciano a Roma ci arrivò dopo buone stagioni nella Pro Patria e nel Foggia. Erano molto diversi anche nello stile di gioco. Il giallorosso aveva un’intelligenza tattica ed un senso dell’anticipo fuori dal comune. Il laziale era un centrocampista tutta corsa e grinta. Il primo amava il fioretto, il secondo la sciabola.
La stagione da ricordare
Re Cecconi era il pupillo di Tommaso Maestrelli. Fu lui a volerlo alla Lazio dopo averlo allenato nel Foggia. E’stato uno degli uomini simbolo di quella squadra insieme a Chinaglia, Pulici e Wilson. I biancocelesti con lui in mezzo al campo, acquisirono quella potenza e quel dinamismo fondamentali per conquistare il primo scudetto della sua storia nel 1973-74. Re Cecconi, soprannominato Cecconetzer, in omaggio al grande giocatore tedesco, Günther Netzer, a cui tutti dicevano che assomigliasse, mise insieme 23 presenze e 2 reti.
Un brutto infortunio lo costrinse a saltare le ultime sette gare, ma il suo contributo fu fondamentale. Il suo momento di gloria, il laziale lo ebbe il 30 dicembre 1973. All’Olimpico arrivò il Milan allenato da Cesare Maldini e con Rocco Direttore Tecnico.
84.000 persone erano presenti ad incitare la squadra, sfidando il freddo gelido. La partita sembrava indirizzarsi verso un pari a reti bianche. Alle 16.20 però, quando l’arbitro stava per decretare la fine dei giochi, un boato scosse l’Olimpico. Su una punizione per la Lazio dalla trequarti, Nanni passò la palla a Frustalupi. Quest’ultimo imbeccò Re Cecconi in area. Il biondo tirò al volo e insaccò in rete. Lo stadio esplose di gioia, mentre il centrocampista si mise a correre incredulo verso la Monte Mario assieme a tutti i giocatori, raccattapalle e panchinari.
Anche Agostino Di Bartolomei fu protagonista di uno scudetto, quello giallorosso del 1982-83. Lui era il faro di quella squadra allenata da Nils Liedholm. In quella stagione mise a segno 7 reti in 28 presenze. In una squadra, dove giocavano Ancelotti, Falcao, Conti, e Pruzzo, lui era il leader silenzioso. Lo dimostrò il 20 febbraio 1983. All’Olimpico arrivò il Napoli. La Roma era capolista con tre punti sul Verona. I giallorossi seppellirono sotto cinque reti gli azzurri e allungarono a cinque i punti di vantaggio sugli scaligeri. Di Bartolomei segnò una doppietta. La prima rete fu una bomba da venticinque metri su passaggio di Falcao. La seconda una punizione magistrale. Lì vi fu la consapevolezza che la squadra poteva davvero vincere lo scudetto.
Il momento buio
Re Cecconi non ebbe mai la fortuna di giocare la Coppa Campioni. L’anno dopo aver vinto il titolo, infatti, la Lazio non fu ammessa alla massima competizione europea a causa di una rissa scoppiata negli spogliatoi dell’Olimpico, dopo il ritorno dei sedicesimi di finale della Coppa UEFA dell’anno precedente contro l’Ipswich Town. A seguito di ciò, il club biancoceleste subì dall’UEFA la squalifica per 3 anni (poi ridotti a 1) dalle competizioni europee. Da quella mancata partecipazione arrivò il declino dei biancocelesti, culminato da una salvezza stentata due anni dopo lo scudetto. Re Cecconi anche in quell’occasione fu uno dei leader,ma era chiaro a tutti che il giocattolo si era rotto.
Di Bartolomei, invece, la Coppa Campioni la sfiorò in quella maledetta serata dell’Olimpico il 30 maggio 1984. Grobbelaar non ipnotizzò Ago, ma Conti e Graziani sì, consegnando al Liverpool una coppa in uno stadio ammutolito. Quella finale persa di fronte ai propri tifosi fu una delle ombre che Di Bartolomei si portò dietro fino alla morte. Da quel momento tutto finì. Il capitano fu venduto al Milan e iniziò il declino giallorosso, mentre lui si portò nel cuore quella maledetta sera.
La morte
La fine di entrambi rispecchio la loro vita. Re Cecconi, goliardico e amante del gioco, morì “per uno scherzo”. La sera del 18 gennaio 1977 il centrocampista si trovava con due amici, il compagno di squadra Pietro Ghedin e il profumiere romano Giorgio Fraticcioli. Dovevano accompagnare quest’ultimo nella gioielleria di Bruno Tabocchini per consegnare alcuni campioni di profumo. La sua morte è ancora immersa nella nebbia.
L’ipotesi prevalente fu che Re Cecconi avesse simulato, per scherzo, un tentativo di rapina e che il gioielliere avesse reagito sparando. Il calciatore venne colpito in pieno petto e morì in ospedale alle 20:04. Tabocchini fu poi arrestato e accusato di “eccesso colposo di legittima difesa”. Processato solo 18 giorni dopo, venne assolto per “aver sparato per legittima difesa putativa”. Nonostante la versione ufficiale, avvallata dai testimoni, non si capì mai come fossero andati i fatti. Secondo una ricostruzione giornalistica di molti anni dopo Re Cecconi non avrebbe fatto nulla che potesse essere interpretato come un tentativo di rapina. Fu così che il biondo morì a soli 28 anni. Nel novembre 2003, il Comune di Roma gli dedicò una strada nel quartiere Tuscolano.
Anche a Di Bartolomei hanno dedicato una via, ma non a Roma, città dove era nato e per la cui squadra aveva dato tutto, bensì a Castellabate, piccolo paesino della provincia di Salerno dove lui abitava con la famiglia e dove decise di porre fine alla propria vita, il 30 maggio 1994, dieci anni esatti dopo la sconfitta di Coppa Campioni della Roma. I motivi per cui quel giorn, decise di sparasi al petto con la sua Smith&Wesson 38 special rimangono tutt’ora oscuri. “Depressione” è il termine che si è usato più spesso per spiegare quel gesto. Fatto sta che la sua vita terminò a 49 anni.
Re Cecconi e Di Bartolomei sono gli eroi tragici che Lazio e Roma ricorderanno sempre. Rappresentano la città di Roma come nessun altro, gioie e dolore, goliardia e riservatezza. Per questo la Città Eterna li amerà per sempre.
Davide Luciani
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