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Ibrahimovic Barcellona, quando Dio si dimostra troppo caro
Pubblicato
8 mesi fa|
Editor
Davide Luciani
Ibrahimovic al Barcellona nell’estate del 2009 è da molti considerata una delle migliori operazioni di mercato della storia. Per l’Inter, naturalmente. Undici anni dopo quell’affare rimane la convinzione che perfino uno come lo svedese può essere oggetto di supervalutazione. E’ chiaro, infatti, che quell’affare fece la fortuna del club di Moratti, mentre il club blaugrana si fece un clamoroso autogol. Ripercorriamo le tappe di quella vicenda.
Ibrahimovic-Barcellona:un affare a tinte nerazzurre
Nell’estate del 2009, Inter e Barcellona innescano uno affare che passerà alla storia. Zlatan Ibrahimovic passa al Barcellona in cambio di 69.5 milioni e il cartellino di Samuel Eto’o, valutato 20 milioni. Ci sono diverse considerazioni da fare sull’affare. Tutto nacque dalla volontà di Guardiola di fare a meno del camerunense. L’ex Maiorca era stato uno dei grandi protagonisti nella stagione appena conclusa, del Triplete blaugrana, mettendo a segno 36 reti in 52 match. Il camerunense, però, nel 2010 avrebbe visto il contratto scadere. Da qui la volontà di cambiare. Le motivazioni che spinsero l’Inter furono unicamente tecniche. Guardiola, credeva che lo svedese con Messi avrebbe formato una coppia devastante.
Dall’altra parte l’Inter fece un affare tecnico ed economico. Non solo acquisì un centravanti di pari livello di quello che vendette, ma ci guadagnò sopra anche 70 milioni, con cui finanziò gli acquisti di Sneijder, Milito, Motta e Lucio. Insomma: con un solo giocatore, Moratti costruì l’ossatura della squadra che fece il Triplete.
Perchè Guardiola sbagliò
L’affare Ibrahimovic si rivelò un flop per il Barca, perché Guardiola ebbe la presunzione di addomesticare lo svedese. Nei piani del tecnico catalano, l’ex Inter avrebbe dovuto mettersi al servizio di Messi della squadra, garantendo gli stessi go di Eto’o, ma innalzando il tasso tecnico. Non tenne conto, però, del carattere dello svedese. Ibra era troppo individualista e troppo sicuro di sé, per poter accettare di fare da sparring partner all’argentino. L’allenatore chiedeva allo svedese cose che lui non voleva fare. Il rapporto tra Guardiola e Zlatan è stato ben esplicitato da una frase dello svedese: “La mia esperienza a Barcellona? E come comprarsi una Ferrari e guidarla come un Fiat”.
Diversamente lo svedese era considerato troppo individualista per una squadra che fungeva da cooperativa. Qualche tempo dopo il suo trasferimento al Milan, l’allora ds del club spagnolo, Andoni Zubizarreta, parlò così del suo ex giocatore:“A livello individuale è un giocatore che non si discute, ma a calcio si gioca anche senza pallone. Bisogna saper dare delle soluzioni ai compagni anche senza palla”.
L’arrivo di Ibra distrusse il giocattolo che Guardiola. Una squadra abituata a giocare a memoria, in cui tutti sapevano come agire, si ritrovò con un accentratore della manovra che ne minò i meccanismi. Ibra si è sempre considerato simile a Dio, ma il Barcellona ne aveva già uno ed era Messi. I problemi del Barca si videro tutti nella sfida di San Siro contro l’Inter. Lì Ibra mise in evidenza una volta di più i suoi limiti europei, proprio contro la squadra con cui non era riuscito a fare il salto di qualità europei e il Barcellona perse la possibilità di bissare il successo in Champions dell’anno prima.
La cessione al Milan
Un anno dopo il suo trasferimento al Barcellona, Ibrahimovic passò al Milan. L’operazione fu un capolavoro di Galliani, ma fu anche figlia del conflitto tra lo svedese e Guardiola. Ibra si trasferì in rossonero in prestito con obbligo di riscatto a 24 milioni di euro. Oltre a Galliani, in quella trattativa fu decisivo anche Mino Raiola, che lavorò ai fianchi la dirigenza catalana. La scelta era semplice: distruggere il giocattolo blaugrana o perdere una valanga di soldi. Fu la seconda tesi a vincere. In poche parole, l’arrivo di Ibra al Barcellona fu un bagno di sangue dal punto i vista economico e sportivo. Quello dello svedese non fu una supervalutazione di un brocco, ma di un campione per una squadra che di quel tipo di giocatore non aveva bisogno.
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