Champions League
Il Napoli può vincere l’Europa League?

Un muro su cui l’impatto è stato più dannoso del previsto: il Napoli di Carlo Ancelotti, dopo una splendida Champions League, viene eliminato dal girone e conclude al terzo posto, superato da uno straripante Liverpool e da un altrettanto maestoso Anfield: nelle serate che contano di più, come sempre, l’apporto maggiore viene dal pubblico di uno stadio mitico, trasudante di storia e tradizione. Anfield ieri sera avrebbe messo i brividi a chiunque, finanche a chi non è appassionato. In serate di gala, il pubblico del Liverpool, certe partite, le decide.
E l’ha decisa anche contro un insolitamente impaurito Napoli che, ieri sera, è caduto sotto i colpi del Liverpool: alla fine della partita l’1-0 del 90′ è stato un risultato per larghi versi stretto a Salah e compagni, che hanno sciupato l’impossibile, concedendo al Napoli poche e magre occasioni. Dove non è arrivato Anfield, negli ultimi, concitati minuti, è arrivato l’ex Roma Alisson: chissà se Di Francesco e la dirigenza giallorossa si staranno mangiando le mani, a guardare le prodezze al fotofinish dell’estremo difensore verdeoro. Invero va detto che il tiro di Milik colpisce in pieno il portiere ma, al netto di smentite, lo scatto di reni felino merita se non altro la menzione della cronaca. Parata decisiva e qualificazione assicurata. Il Napoli, meno brillante del solito, ha concesso fin troppo ad un avversario che, in casa, non subisce praticamente mai e che, tra Champions e campionato, ha la miglior difesa d’Europa. Serviva l’impresa, non una tacita e sterile osservanza della propria rivale che, tra le mura amiche, lo scorso anno, ci ha costruito una finale. Serviva maggior coraggio, meno insicurezza, più precisione e non errori, pressioni, distrazioni, svarioni. Hanno tenuto botta, Koulibaly, Albiol, Fabian Ruiz, Callejon, Allan, lo stesso Ospina (colpevole, forse, sul gol dei Reds). Hanno fatto naufragio Hamsik e Mario Rui, ieri sera semplicemente disastroso sull’out mancino. Poco brillanti anche Mertens e Insigne. Il belga, inoltre, è l’uomo che ha subito l’avvertimento: il fallo di Van Dijk, al limite del regolamento, è un segno di personalità: come a dire che ad Anfield non si passa. Successe più o meno lo stesso due anni fa, al Santiago Bernabeu, con Sergio Ramos che andò a falciare Diawara nella metà campo avversaria. Ecco, su questo, il Napoli deve ancora crescere. E far tesoro di notti come quella di Anfield: il processo di crescita, lo sa bene Ancelotti, passa anche da partite così sofferte.
Un peccato, perché a differenza di un’Inter, il Napoli si era costruito il percorso ed aveva apparecchiato la tavola per la qualificazione, sia ben chiaro, non fallita in casa, contro il modesto PSV. Ieri, alle 21, gli azzurri erano primi a nove punti. Condannati per un gol subito, ma non col Liverpool, bensì con la Stella Rossa. O col PSG, fate vobis. Ed oggi si è in Europa League: si cresce così, come un ragazzo che becca un ‘no’ dalla ragazza di cui è innamorato. Europa League, dicevamo: il Napoli ha le carte in regola per trionfare nella seconda, per importanza, competizione del Vecchio Continente? La risposta è sì, gli azzurri hanno tutte le credenziali per vincere o, se non altro, arrivare fino in fondo. Senza sottovalutare l’impegno, senza bistrattarlo ma vivendolo semplicemente come se fosse la Champions stessa. Ancelotti, non a caso re di coppe, è un maestro su questo. Al suo palmares una Europa League manca e perché no, potrebbe essere il primo tassello per una nuova era, si spera, vincente. Imparando da notti magiche, come quella di Anfield. Dagli errori che in uno stadio così contro una squadra così si commettono. E che non vanno ripetuti. Crescere significa imparare, vincere significa non ripetere gli stessi errori. L’Europa League, come la Champions, non li perdonerebbe.
