Cinema
Hunger Games: da Prometeo a Katniss, il fuoco e la speranza
Cerco di ricordare in quale altra occasione ho sentito parlare di fuoco e speranza, insieme. Poi mi viene in mente che quei mattacchioni dei greci si inventavano un sacco di belle storie e mi ricordo del titano Prometeo che regala il fuoco agli uomini e di Pandora, mandata da Zeus per punire l’umanità, che apre l’unica scatola che non dovrebbe aprire e libera tutti i mali del mondo, ma sul fondo della scatola rimane la speranza. E tutto questo cosa c’entra con The Hunger Games: Catching Fire (Hunger Games, La ragazza di fuoco), tratto dal secondo libro della trilogia post-apocalittica di Suzanne Collins? Assolutamente nulla! Eccetto il fuoco, la speranza e il mito. Niente divinità e titani, ma di una donna particolare si parla anche in questo film.
A COSA SERVONO GLI HUNGER GAMES? – È ancora lei, la giovane Katniss Everdeen, la “ragazza di fuoco”, il problema. Non ha solo vinto gli ultimi Hunger Games: ha sfidato un sistema e il presidente Snow (un eccezionale Donald Sutherland) non ha nessun intenzione di fargliela passare liscia. Katniss si renderà conto presto di esser diventata l’immagine di quella speranza (una Ghiandaia Imitatrice che canta la libertà) che dal vaso di Pandora non era uscita, in un mondo dove i mali si aggirano indisturbati da almeno settantacinque anni. Infatti, servono proprio a questo gli Hunger Games: a ricordare ai Distretti che chi comanda è Capitol City e che le rivoluzioni vengono schiacciate con molto più sangue di quello chiesto in tributo ogni anno. Il confine tra “vita” e “spettacolo” è sottile come uno schermo in quella città barocca tutta lustrini ed effetti pirotecnici, nella quale i cittadini bevono cocktail per vomitare e poter andare avanti ad abbuffarsi. Ma questa storia non è già sentita? Eccome! «Insomma devono avere il loro spettacolo […] il circo equestre deve continuare le rappresentazioni, anche con una guerra che sta scoppiando…» scriveva Ray Bradbury in Fahrenheit 451. Sono trascorsi esattamente sessant’anni dalla prima edizione di questo romanzo, eppure pare che l’impressione rilevata dagli sguardi di quei grandi indagatori che sono gli scrittori non sia cambiata: rendete gli uomini meri spettatori, date loro uno spettacolo che li tenga attaccati allo schermo e per sempre li dominerete. In questo secondo episodio, c’è qualcuno che però inizia a ribellarsi. Non gli spettatori.
COME IN UNA SCATOLA CINESE – È proprio la dimensione della fruizione ad essere interessante in questo prodotto cinematografico: noi spettatori degli Hunger Games, ma anche, come una scatola cinese, spettatori del vuoto mondo degli spettatori degli Hunger Games. In alcuni – seppur fugaci – istanti, sono due gli schermi che ci separano da Katniss, Peeta e gli altri tributi eppure pare di essere lì. Il film è lungo (quasi due ore e mezza), eppure scorre liscio, senza intoppi e senza far pesare nemmeno un minuto. La fruizione è possibile (ripetiamo ovvietà) a diversi livelli e li appaga tutti. Qualche volta, per capire il nostro mondo, è necessario fare un salto in mondi altri. Quello di Panem (dal latino Panem et circenses – pane e spettacoli) è un mondo nel quale i leggendari snuff movies esistono eccome: i reality sono un gioco, una distrazione anche per noi, no? E se proseguiamo di questo passo, dopo aver spettacolarizzato tutto, non mancherà solo la morte? Il vero potere, forse, non sta nello smettere di guardare? O nello scegliere cosa guardare?
LO SGUARDO DEL REGISTA – Dopo il rifiuto di Gary Ross (regista del primo Hunger Games), tocca a Francis Lawrence (che girerà anche i due capitoli del terzo episodio) sostituirlo. Infallibile lo sguardo del regista che per lungo tempo si è provato nella direzione di clip musicali e pubblicitari: perfetto nel descrivere il mondo vanesio tutto glitter e glamour della capitale. Ottimo il cast che vanta Philip Seymour Hoffman nel ruolo di Plutarch, il nuovo stratega (che ha in serbo delle belle sorprese per La ragazza di fuoco e per noi spettatori), oltre al già citato Donald Sutherland. Spassoso quanto irritante (ma lo richiede il personaggio) Stanley Tucci. Il cast si riconferma ben equilibrato, senza che nessuno ecceda o indugi in atteggiamenti fastidiosi.
Impossibile non ammirare la maestria del premio Oscar Jennifer Lawrence che, in ogni film più del precedente, dà prova di essere tra le più grandi promesse hollywoodiane.
Per gli aficionados del genere, una sicurezza. Per gli scettici, una sorpresa. Correte al cinema e... Che i settantacinquesimi Hunger Games abbiano inizio!
Elisa Belotti
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