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Dei delitti e dei ricorsi: Andelkovic si becca la squalifica ma Perinetti non ci sta
Pubblicato
7 anni fa|
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Enrico Steidler
La storia è fatta di corsi e ricorsi diceva Giambattista Vico, e quella del calcio italiano in particolare. Se guardiamo alle vicende del football e dei suoi protagonisti, infatti, non possiamo fare a meno di notare che il ricorso non è solo quella serie di eventi che si ripete a intervalli più o meno regolari o un dejà-vu che dovrebbe essere istruttivo (e raramente lo è), ma anche una splendida occasione per rifarsi il look a spese del buon gusto e del buon senso. Fateci caso: fra i dirigenti del mondo pallonaro (e più si sale di livello più si scende, almeno questa è la sensazione) il ricorso non è inteso come uno strumento di giustizia, ma come una tentazione irresistibile, un atto dovuto a prescindere.

Sinisa Andelkovic
RICORRI CHE TI PASSA – Le eccezioni alla regola esistono ma si contano sulla punta delle dita: pochi, infatti, i ricorsi motivati (primo fra tutti quello di Baldassarre, il giornalista pugliese condannato a 5 anni di Daspo per aver interrotto urlando il minuto di silenzio) e ancor meno le sanzioni accolte senza battere ciglio. Quasi ogni decisione del giudice sportivo, ormai, è oggetto di impugnazione e di censura, e il sospetto che tutto ciò non possa più essere spiegato tirando in ballo i vizi nazionali e i difetti di una cultura sportiva presente solo in tracce diventa sempre più forte. C’è qualcosa di più, evidentemente, e di peggio. Prendete, ad esempio, il turno di squalifica comminato al difensore rosanero Sinisa Andelkovic per aver tradito “gli elementari principi di lealtà e probità sportiva” parando con un braccio il tiro di Di Michele durante Reggina-Palermo 0-2 di sabato sera scorso ed evitando in tal modo un gol già fatto. Che c’è da obiettare? La scorrettezza del giocatore sloveno, sfuggita all’arbitro Mariani ma non alle telecamere, è il classico episodio da prova-tv e il regolamento (articolo 35 del Codice di Giustizia sportiva) parla maledettamente chiaro in proposito: chi colpisce volontariamente il pallone con la mano (e sulla volontarietà di Andelkovic non ci sono dubbi) è colpevole di condotta gravemente antisportiva e deve quindi essere sanzionato. Punto.
MI APPELLO, VOSTRO ONORE – E invece no. Il fallo di mano è netto, questo nessuno lo discute, così come è evidente il torto subito dai padroni di casa, ma per il ds del Palermo Giorgio Perinetti la decisione del giudice sportivo è inaccettabile. Ohibò. E perché? “L’errore del direttore di gara” – esordisce il ds rosanero alludendo alla mancata concessione del calcio di rigore per la Reggina – “è avvenuto con una decisione presa in una frazione di secondo ed in un’azione molto veloce e per nulla chiara dato il numero di contendenti in area. Il fallo è stato evidenziato soltanto da numerosi replay televisivi. Ci sembra serio e grave” – conclude Perinetti arrivando al punto – “il provvedimento preso senza alcun precedente specifico, applicando forzatamente una norma fino al limite consentito dal regolamento. Questo, che diventerebbe un clamoroso precedente, rischierebbe di far divenire ogni gara un pretesto per applicazioni allargate della norma, con conseguenti dubbi sulla regolarità del campionato”. In soldoni, il Perinetti-pensiero è il seguente: siccome non era mai accaduto che un giocatore venisse squalificato su segnalazione della Procura federale per gioco non violento, allora non si vede proprio la ragione per cui dobbiate cominciare proprio dal Palermo! Questa non è sacrosanta esigenza di giustizia (come pensano tutti da Reggio a Bolzano), ma solo bieco giustizialismo, una forzatura indebita e pericolosa delle norme che rischia di fare da apripista a future “degenerazioni”.
Ora, il caso del ricorso del Palermo (che peraltro è davvero limite: raramente, infatti, si arriva a simili livelli di spudoratezza) è esemplare perché ci aiuta a fare un po’ di luce fra le tenebre. Perinetti sa benissimo che al 99,9 % il ricorso sarà respinto – guai se non fosse così – e che sarà respinto perché le motivazioni lasciano a desiderare, e tuttavia lo fa. Perché? E perché al posto suo lo avrebbe fatto qualsiasi altro dirigente della nomenklatura italiota, o quasi? Certo, la mala educación ha il suo ruolo, così come l’emulazione dei cattivi esempi, ma è ovvio che una simile, sistematica propensione al piagnisteo in carta bollata è sospetta. Sarà mica che serve a confondere le acque e, già che ci siamo, a inquinarle un po’?
Enrico Steidler
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