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Christian Panucci, un giramondo che ha sempre lasciato il segno

Christian Panucci – Storie di italiani del pallone che hanno fatto fortuna all’estero e che dell’estero hanno fatto la fortuna. Storie di calcio quindi, e non solo. Momenti di vita e ricordi di giocatori che hanno piantato il tricolore in suolo straniero. Perché forse il rigore e la moderazione non saranno di questo Paese, ma lo stile sì. Benvenuti ad “Italians play it better”. Ogni venerdi alle 10.30. Solo su SportCafe24
CHRISTIAN PANUCCI – STORIA DI UN DIFENSORE ATIPICO
Christian Panucci nasce a Savona il 12 Aprile 1973 e parte da Genova, a due passi dal mare. Guardare l’orizzonte da un posto in prima fila regala sogni, emozioni e voglia di scoprire cosa c’è dall’altra parte. Christian è partito presto e a dirla tutta non è ancora tornato. E in tutto questo tempo non si è mai fermato. C’è chi lo ha definito spesso un rompiscatole, uno spacca spogliatoio, uno difficile da gestire. La verità è che Panucci non le ha mai mandate a dire, e quando ha esagerato, ci ha sempre messo la faccia, pagandone le conseguenze. Non voleva mai perdere, proprio come Fabio Capello, e non a caso con il tecnico di Pieris la sintonia c’è sempre stata: lo volle a Milano, lo portò a Madrid e lo richiamò a Roma. Stima reciproca, fiducia incondizionata: il suo alter ego in campo. Le loro storie si muovono su binari paralleli: crescono insieme, Chrisitan da giocatore e Fabio da allenatore, una maturazione accompagnata sempre dalle vittorie. Un obiettivo comune al quale non hanno mai rinunciato.
GLI INIZI – A soli 18 anni Panucci fa il suo esordio in A. Bagnoli decide che quel ragazzino è già pronto per il calcio che conta, anche se lui comincia con un errore: perde palla dopo un dribbling azzardato su Ferrara, e il Napoli in contropiede fa goal. Una mazzata, ma non per Christian Panucci, non per chi suda grinta e personalità. Se provate a chiedere ad un tifoso del Genoa vi dirà che ricorda come quel ragazzo appena maggiorenne lottasse su ogni pallone per rimediare a quell’errore. Uno che non aveva paura delle responsabilità.
LA PRIMA EREDITA’ – Il Milan lo acquista per 11,5 miliardi delle vecchie lire. Vede in Christian l’erede naturale di Mauro Tassotti per la fascia destra dei rossoneri. I tre anni alla corte del diavolo sono una scuola di vita e un susseguirsi di successi: 2 scudetti, 1 Champions League, 1 Supercoppa Italiana e 1 Supercoppa Europea. Non si è mai capito fino in fondo il motivo, se ci sia stato uno scontro con Galliani o un’incomprensione con il nuovo tecnico, ma con il ritorno di Arrigo Sacchi, Panucci fu allontanato.
SUEÑO REAL – Capello lo chiama nella capitale spagnola e lui non ci pensa due volte: primo calciatore italiano a vestire la maglia dei blancos. Non una maglia qualsiasi perchè nella seconda stagione spagnola sulle spalle di Panucci finisce la maglia n.2 e un’altra eredità pesante, quella di un mostro sacro come Chendo. Arriva un altro scudetto ma soprattutto l’appuntamento con la storia: la Champions League dopo 32 anni. Nella finale di Amsterdam il Real batte la Juventus e conquista la sua settima Champions League, forse il momento più alto della sua carriera, anche per l’attesa dei tifosi madridisti che hanno ribattezzato quei calciatori come “los heroes de la Septima“! Il suo nome splende accanto a quello di Raul, Mijatovic, Hierro e Suker, amici prima che compagni di squadra, che non lo hanno dimenticato. Un predestinato, anche perchè a Madrid ha rischiato di non arrivare mai. Infatti nel 1996 parte con la spedizione olimpica per Atlanta con molti sogni. Subito un infortunio al ginocchio e la rinuncia ai Giochi. Christian Panucci ha fretta di mettersi alle spalle anche questa sfortuna, vuole tornare il prima possibile a Milano per far visitare il suo ginocchio. Deve imbarcarsi sul volo TWA 800 che da New York deve riportarlo in Italia, ma nel precedente spostamento il suo bagaglio è andato perso. Decide di cambiare volo, direzione Milano invece di Roma, e cercare il suo bagaglio. Quando atterra a Milano verrà a sapere che quel volo a Roma non è mai arrivato perchè si è inabbissato nell’Oceano Atlantico dopo essere esploso. Cose che ti cambiano la vita e riscrivono la tua storia. In Spagna sembra che Panucci possa mettere le radici, anche grazie a sua moglie Isabel e alla nascita di suo figlio Juan, ma la partenza di Fabio Capello, il suo orgoglio e le incomprensioni con Hiddink prima e con Heynckes poi, lo convincono a far ritorno in patria. Un ritorno pieno di rimpianti perchè in un’intervista ad ABC disse: “quando me ne andai da Madrid avrei sbattuto la testa al muro“.
UN PERIODO BUIO – Il ritorno a Milano, sponda nerazzurra, è di quelli in pompa magna. Si lascia convincere dal progetto tecnico di Marcello Lippi ma il loro rapporto non decollerà mai. Lippi è uno che non perdona facilmente e soprattutto non dimentica, e una panchina di troppo apre una frattura insanabile. Le panchine per Christian Panucci sono come un oltraggio, non le manda giù, specie se non motivate, specie se in campo va qualcuno che lui non reputa alla sua altezza. Il 22 Aprile 2000 Christian si rifiuta di entrare, non è la prima, e non sarà l’ultima volta nella sua carriera, ma Lippi non ci metterà mai una pietra sopra. Bisogna cambiare aria, ma le loro strade si incrocieranno di nuovo.
Sembra che l’Italia non lo capisca più e decide di varcare di nuovo le Alpi. Viene acquistato dal Monaco ma va in prestito al Chelsea, poche presenze alle dipendenze di Ranieri e poche sotto la guida di Deschamps. La sua carriera sembra già in parabola discendente, ma Panucci non è tipo da arrendersi facilmente e la chimata di Capello a Roma rappresenta una chance che non si può sprecare.
LA SECONDA GIOVINEZZA – Roma lo accoglie con diffidenza, c’è chi lo definisce il cocchetto di Capello, chi un raccomandato o un ex-giocatore. Presto le malelingue dovranno rimangiarsi tutto. Nella capitale Christian Panucci ritrova la tranquillità che aveva perso dopo aver lasciato il Real, e Roma si trasforma nella tappa più lunga della sua carriera e in diverse occasioni indossa anche la fascia di capitano. Come a Genoa quasi 10 anni prima, la tifoseria vede in lui la grinta, la voglia e la determinazione, ed il rapporto si solidifica giornata dopo giornata. Sette stagioni all’ombra del colosseo lo fanno diventare il difensore più prolifico della storia della Roma: 29 reti in 311 partite ufficiali. Il vizio del goal lo ha sempre avuto, tanto che ai tempi del Milan si diceva che colpiva di testa come Marco Van Basten. Con la Roma conquista 2 Coppe Italia e 2 volte la Supercoppa italiana. Sul fronte allenatori, anche qui è una panchina di troppo con Luciano Spalletti a far scoppiare un putiferio. Fuori rosa fino alle scuse ufficiali all’allenatore, anche se quelle più sincere sembrano proprio per i suoi tifosi. Vorrebbe smettere a Roma ma la voglia di giocare è troppa e prova a ripartire da Parma, ma dopo 17 giornate ed 1 goal decide che è il momento di smettere.
AZZURRO SBIADITO – La Nazionale non gli ha regalato successi, se non a livello giovanile, ma emozioni forti si, specialmente negli ultimi anni. Ha pagato a caro prezzo il suo rapporto non convenzionale con Sacchi e Lippi. Ci ha rimesso un Mondiale, quello del 2006, ma ha avuto la fiducia di Trapattoni prima e Donadoni poi. Proprio con l’ex-milanista come selezionatore ha scritto le sue pagine più belle con la maglia azzurra: suo il goal qualificazione per gli Europei del 2008, sempre di testa come ai vecchi tempi. Pochi avrebbero scommesso su di lui, ma Donadoni lo conosceva bene e lui come sempre non ha mancato l’appuntamento, “sono venuto per aiutare un amico” le sue parole a fine partita. La riconoscenza e l’amicizia nel calcio contano, e Christian Panucci concluse la sua avventura azzurra nell’Europeo del 2008, quello della Spagna vincente, ma con l’Italia che cede solo ai rigori.
Un difensore, che tanto difensore non lo è mai stato. Corsa e grinta, piedi da centrocampista e la testa di un bomber. Efficace ed elegante, sembrava non scomporsi mai, neanche quando segnava un goal: l’indice verso l’alto come a dire “Sono stato ancora il più bravo”. Dentro e fuori dal campo Christian Panucci preferiva attaccare, e se qualche volta affondava troppo il colpo sapeva chiedere scusa. Il suo carattere gli ha forse fatto perdere qualche occasione ma quando è stato chiamato in causa ha sempre lasciato la sua impronta. Ha fatto penare allenatori e dirigenti, molti non lo rimpiangeranno ma sarà difficile dimenticarlo.
a cura di Andrea Croce

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