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Italians play it better – Gianluca Vialli: un golden boy alla conquista di Londra

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LONDRA, 9 NOVEMBRE –  Storie di italiani del pallone che hanno fatto fortuna all’estero e che dell’estero hanno fatto la fortuna. Storie di calcio quindi, e non solo. Momenti di vita e ricordi di giocatori che hanno piantato il tricolore in suolo straniero. Perché forse il rigore e la moderazione non saranno di questo Paese, ma lo stile sì.

Benvenuti a “Italians play it better”. Ogni giovedì alle 10.30. Solo su SportCafè24.

GLI ESORDI DEL BOMBER ITALOBRITISH- Gianluca Vialli nasce il 9 luglio 1964, a Cremona. La sua è una famiglia ricca, “borghese ” preferisce definirla lui. Insomma, stavano bene. Nulla comunque a che vedere col fatto che diventerà una stella nello sconfinato firmamento calcistico continentale. Nel cortile di casa, un grande e bel prato, il piccolo Gianluca inizia a tirare i primi calci a un pallone inconsapevole, con l’innocenza di bambino, che quella sarà la sua vita. Proprio quel cortile diventa un ritrovo per i suoi amici e coetanei e dicono, come per ogni fuoriclasse che si rispetti, che fosse già una spanna sopra tutti gli altri. Ma era un bambino, un ragazzino e il calcio all’epoca arrivava, l’occasione per sfondare non la si cercava con la stessa smania che hanno adesso i ragazzi e soprattutto i genitori. Infatti Gianluca  non faceva parte di nessuna società, la sua attività calcistica andava da quel cortile all’oratorio, dall’oratorio alla casa – “il castello” lo chiamavano tutti – di campagna. Come in ogni bella favola sportiva e non che si rispetti la chance bussò alla sua porta. A farsi avanti è un certo Franco Cristiani, un professore di italiano che per passione allena i ragazzi. La squadra è il Pizzighettone, i giovanissimi del Pizzighettone e il dodicenne Vialli si tessera. Inizia così la sua parabola ascendente, il suo ascensore diretto per il piano più alto, per l’Olimpo del calcio.
Qualche partita con quelli della sua leva ma una grana burocratica (era fuori quota per pochi giorni e qualcuno si prende la briga di accorgersene) gli apre le porte di un’occasione ancora migliore. Questa volta è la Cremonese a bussare, ed è la classica offerta che non si rifiuta. La carriera di Gianluca è cominciata.

UN TRAMPOLINO CHIAMATO CREMONESE – Tre stagioni con le giovanili prima della chiamata in prima squadra. Non si può certo dire che Vialli non abbia sudato, non si sia sporcato di fango nei campi minori prima di cominciare a brillare di luce propria. Come per tanti altri campioni è stata forse questa la chiave di tutto: la gavetta. Solo anni di Purgatorio possono preparare al Paradiso e forse questo Gianluca lo aveva capito. Una manciata di apparizioni in C1, ma l’anno è quello buono. La Cremonese va in B. Mister Vincenzi lo “battezza”, prima che arrivi Mondonico. “Il Mondo” lo consacra, vede in lui qualcosa di speciale e il diciassettene Vialli lo ripaga. 66 partite e 13 gol, non male.
Al terzo anno grigiorosso sfiora la Serie A, questione di playoff. Poco male, 10 reti nel campionato successivo e primo grande traguardo centrato.
Nel grande mondo del calcio c’era già chi aveva messo gli occhi su di lui da tempo, affascinato e folgorato dal modo in cui mordeva il campo e ci metteva sempre cuore e polmoni.
La Juventus era interessata, il presidente della Cremonese Luzzara si consultò con Boniperti che però non lo riteneva ancora all’altezza della Juve. Un presidente però non si fece sfuggire il ragazzo dalle mani. L’anno prima della storica promozione della Cremonese in Serie A infatti Vialli era già stato opzionato, bloccato e pagato da Paolo Mantovani. Tre miliardi delle vecchie lire. Tanto versò Mantovani per accaparrarsi le giocate di quell’attaccante. Ebbe la lungimiranza di fargli fare ancora un anno di ossa in B, prima di portarlo a Genova, sponda blucerchiata. “Lucagol” stava per fare il grande passo.

L’ARRIVO ALLA SAMP: LE TANTE VITTORIE, I TANTI GOL E LA CONSACRAZIONE CONTINENTALE – Il progetto Sampdoria stava prendendo corpo. Mantovani era ambizioso e aveva capito che Vialli era l’uomo giusto da affiancare a un altro ragazzo comprato due anni prima, Roberto Mancini. Stessa leva i due, stesso talento. A 20 anni Gianluca entra nel calcio che conta e lo fa nel migliore dei modi e nella squadra giusta. La maturazione del gruppo e di Vialli vanno di pari passo alla crescita della società. Mantovani e il suo storico DS Borea hanno fiuto e capacità e la Sampdoria comincia ad avere le carte in regola per entrare nella storia.

Ma torniamo a Vialli. Debutto nel settembre del 1984, proprio contro la Cremonese. Il Fato, a volte. Si trova a giocare accanto a Mancini appunto, Vierchowod e Pellegrini, Mannini e Pari. Sono loro i pionieri di quella che diventerà la grande Samp. Primo anno e primo trofeo per la società di Corte Lambruschini. Contro il Milan gli uomini di Bersellini vincono la Coppa Italia, e centrano il quarto posto in campionato. Niente male, non c’è che dire.
La seconda stagione inizia un po’ zoppicante, per tutti non solo per Vialli. Ma era il preludio a qualcosa di enorme, gigantesco, il prendere il respiro prima del grande tuffo. Le difficoltà in campionato portano Mantovani a esonerare Bersellini. Chi arriva al suo posto è il più grande di sempre nel Doria: Boskov, Vujadin Boskov.
L’allenatore serbo ha l’innata dote di saldare il gruppo con cui lavora. E’ un uomo di altri tempi, un grande saggio e conoscitore di pallone. Sembra essere lì da sempre e nessuno come lui sa trattare i tantissimi giovani della squadra, Vialli in primis.

La Grande Famiglia Sampdoria ora esiste, e fa paura. I giocatori cominciano a essere pezzi pregiati di mercato e non potrebbe essere altrimenti. E allora anche Vialli si trova al centro delle voci di mercato. E’ il 1986 e Berlusconi lo vuole, lo desidera ardentemente. 15 miliardi sul piatto, Mantovani ci potrebbe anche pensare ma è proprio Gianluca a chiudere la questione. Non voleva essere un numero legato ai risultati, disse. Non gli interessava in quel momento essere parte di una big come le chiamano oggi. La Sampdoria a detta sua era davvero questa grande famiglia e Genova la città perfetta, la piazza perfetta, a misura d’uomo.
Sembrava quasi che Luca ci trovasse gusto a rifiutare grandi offerte. Nell’ordine ci provarono il Napoli, il Real e ancora il Milan. No, no e no. Prolungò fino al ’92, quella fu la sua risposta all’assalto della Juventus che provò a far leva sulla delusione derivante dalla Coppa delle Coppe persa nella finale di Berna contro il Barcellona nell’89. Non si fece convincere, era come se tutti sentissero che qualcosa di meraviglioso stesse per accadere.
Nella stagione ’87-’88 la Samp bissa la vittoria in Coppa Italia contro il Torino. L’anno successivo, la stessa stagione della sconfitta già citata contro il Barça, è tris. Vialli ci mette 13 reti, record assoluto e tuttora imbattuto nella competizione, e la Sampdoria batte il Napoli. Vialli non voleva assolutamente lasciare Genova, dove tutti avevano in testa una cosa sola: lo scudetto. I giocatori ci credevano, il gruppo ci credeva. Nel tempo, sotto la guida attenta di Boskov che riusciva a non mettere pressione ai suoi ragazzi e lasciarli divertire, si erano aggiunti alla squadra Pagliuca, Lombardo, Cerezo e Dossena.

Grande squadra, grandi uomini oltre a grandi calciatori. Uniti anche l’anno dopo, quando la Sampdoria si regalerà la prima soddisfazione internazionale. E’ il 9 maggio 1990, a Goteborg si gioca la finale di Coppa delle Coppe, l’Anderlecht l’avversario. 0 a 0 e si va ai supplementari, partita tirata. E allora Vialli decide di fare il Vialli e andarsela a vincere, doppietta in tre minuti e al 109′ il discorso trofeo è chiuso. La Samp alza la Coppa, la gioia di Luca va anche oltre i 7 gol che gli conferiscono il titolo di capocannoniere. E’ la Coppa di chi come lui ha saputo dire no al richiamo del Dio Denaro, di chi era avaro di soddisfazioni e ambizioni più che di soldi, anche se a Genova di certo in quel periodo non mancavano. Questione di onore però, di dignità e di coscienza. Vialli aveva vinto, quella Samp definita da tanti, troppi, sbarazzina e viziata era esattamente il contrario. Era una squadra tosta, unita e soprattutto vincente. L’Europa era ai suoi piedi. Aveva ragione lui.
Anno ricco di soddisfazioni quindi, ma anche di una scottante delusione, quella di Italia 90. Doveva essere il protagonista, il mattatore e invece la sua maglia da titolare finisce a Schillaci. Finì come finì, andò come andò e la Nazionale non fu mai un palcoscenico importante per Vialli, che sotto la guida di Sacchi avrà problemi e fastidi, non abituato ad avere padroni e lo dice apertamente, non ha mai avuto peli sulla lingua.

LA SAMPDORO NEI PIEDI DI VIALLI E IL CULMINE DELLA MERAVIGLIOSA ERA MANTOVANI – La stagione ’90-’91 non inizia bene. Gianluca sembra spompato, sottotono dopo il Mondiale fallimentare. Taciturno e fuori dai riflettori, ma è così che insieme ai suoi compagni mette su l’impresa e si prende la rivincita. Giornata dopo giornata la Sampdoria viene fuori. Il motivo per cui tutti erano rimasti è finalmente realtà, la cavalcata finisce come tutti speravano. La Samp è campione di Italia. Contro il Lecce al Ferraris è solo una formalità, la Genova blucerchiata impazzisce di gioia e ringrazia i suoi beniamini. Gianluca è capocannoniere, 19 reti per lui e ritrova il sorriso. Aveva lottato, combattuto per questo sogno, lo voleva fortemente e ci credeva, lui e qualche altro, quando molti “esperti” di calcio non avrebbero puntato 500 lire sulla sua Sampdoria. Aveva di nuovo ragione. I capelli tinti di biondo, i mille festeggiamenti e la città, metà città, all’apice della storia sportiva. La “Sampdoro” poteva finalmente cucirsi lo scudetto sulla maglia. E’ lo scudetto di Vialli uomo, e il mondo blucerchiato lo abbraccia forte come non mai.

La stagione successiva arrivò come per dire che tutte le cose più belle hanno una fine. La Samp si piazzò sesta in campionato ma aveva la possibilità di una vita intera, di una storia intera. Il cammino in Coppa dei Campioni era stato perfetto e la finale di Wembley era arrivata puntuale. L’avversario, a testimoniare quanto il destino si diverta, era di nuovo in Barcellona. Supplementari, la Sampdoria ancora ci credeva ma arrivò la mazzata. Koeman e il suo celebre bolide su punizione distruggono in una frazione di secondo il meccanismo creato da Mantovani. Il ciclo si stava chiudendo. Quell’anno il presidente accettò le avances della Juventus, Agnelli diede in cambio di Vialli, autore di 6 gol in Coppa e 11 in campionato quell’anno, Corini, Zanini, Giampaolo, Serena e Bertarelli, oltre a 10 miliardi in contanti.
Offerta irrifiutabile anche per Vialli questa volta. Alla Samp aveva fatto storia, aveva dato e fatto tutto. 141 gol in 321 partite, uno Scudetto, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa italiana al suo ultimo anno e 3 Coppe nazionali. Ora era libero di andare. A Gianluca non si poteva chiedere altro, ma la Sampdoria e quegli otto anni gli rimarranno sempre dentro.

LE QUATTRO STAGIONI ALLA JUVE E POI… – L’inizio alla Juventus non è come tutti si aspettavano. Vialli fatica, la Juve fatica, anche se vince la Coppa Uefa alla sua prima stagione in bianconero, nel ’92-’93. Però come detto i primi due anni alla Juventus non sono memorabili, il rapporto con Trapattoni non è dei migliori e non si trova là davanti, tanto che il tecnico lo sposta a centrocampo. Errore che non fa altro che peggiorare il morale di Gianluca, un po’ smarrito e nostalgico della “sua” Genova, dove era leader e dove era portato sul palmo da tutti. Non che a Torino la stima gli manchi, anzi, ma non si era creata quell’alchimia di cui lui aveva bisogno. E ci si mettono anche due infortuni. La fortuna non è proprio dalla sua. Finché, nella stagione ’94-’95 a Torino arriva Lippi. La situazione di Vialli si ribalta completamente, Lippi sa come ricreare in lui la fiducia e come renderlo ancora quel campione solo un po’ assopito. Gli costruisce la Juventus intorno, Vialli ringrazia e ripaga. Sono gli anni che tornano alla mente pensando anche a Zeman, gli anni di quella Juve Lippi-Ventrone (il preparatore atletico). Storia nota, ma Vialli scaccia le polemiche e le accuse a suon di gol e mettendoci una testa non comune tra i calciatori. Scudetto al primo anno di Marcello Lippi, trofeo che mancava da 9 lunghi anni. Torna fortissimo, torna voglioso e rabbioso e l’anno dopo alza la Coppa per eccellenza, quella sfuggitagli qualche anno prima a Wembley. Un’altra rivincita di Gianluca che a Roma contro l’Ajax ai rigori ce la fa, con la fascia di capitano al braccio. 22 maggio 1996, una data che non si dimenticherà mai. Ne aveva fatta di strada, una volta ancora, da quando lui stesso confessò a Lippi, l’allenatore della sua rinascita, che voleva andarsene da Torino e magari tornare a Genova. Si sentiva sfiduciato e non riusciva più a esprimersi come voleva. Lippi vinse la scommessa. Però dopo la Coppa dei Campioni di Roma Vialli se ne andò davvero, sentiva che come anni prima alla Sampdoria si era chiuso un ciclo. Era nuovamente ora di cambiare aria.

…LONDON CALLING – Come cantavano i Clash, “London calling”, il richiamo di Londra. Come al solito, nonostante fosse partito male alla Juventus Vialli aveva vinto e non poco. Una Coppa Italia, un campionato, una Coppa Uefa e per ultima una Coppa dei Campioni, segnando 53 gol in 145 gare. Adesso era tempo di esportare il suo modo di giocare e vivere il calcio all’estero, in quell’Inghilterra che sembrava calzargli a pennello. Gianluca era sempre stato un po’ “dandy”, aveva sempre avuto uno stile british. E la capitale lo accoglie a braccia aperte. Armi e bagagli parte, sicuro e soddisfatto di aver fatto grandi cose in Italia, nella Sampdoria prima e nella Juventus poi, Vialli sarà un ricordo indelebile per molti. Una nuova avventura non poteva che stimolarlo.

A parametro zero passa alla squadra del quartiere chic di Londra, il Chelsea. Gullit lo vuole e lo propone alla dirigenza, Vialli accetta. L’olandese era diventato allenatore-giocatore del club. Alla prima stagione con i blues, nel ’96-’97, centra l’FA Cup. Il rapporto con Ruud Gullit comincia a incrinarsi e Vialli viene messo ai margini della rosa. Con la pazienza e la forza che le stagioni italiane gli avevano insegnato aspetta e lavora, in silenzio. A metà della sua seconda stagione è il momento. Gullit viene esonerato e Gianluca Vialli prende il suo posto: ora è lui a essere coach e giocatore del Chelsea. Come se ce ne fosse bisogno Vialli dimostra ancora un’ultima volta che non ce n’è per nessuno. Da allenatore con maglietta e pantaloncini mette in campo la sua classe, il suo stile e la sua eleganza. E’ proprio vero, da qui il titolo della rubrica, italians play it better. Il 33enne Vialli corre come un ragazzino, ha voglia e fame e vince di nuovo. Double: Coppa di Lega e Coppa delle Coppe, contro il Vicenza stupefacente di Guidolin.
Lo fa a cuor leggero, non elimina le italiane come fosse una vendetta ma fa capire che non è andato via dall’Italia per fare lo spettatore in un calcio comodo e tranquillo. Chi è abituato a vincere, lo fa ovunque vada. L’anno dopo si concede l’ultimo trofeo da giocatore, la Supercoppa Europea contro il Real Madrid. 1 a 0 e diventa uno dei pochissimi giocatori italiani ad aver conquistato le tre maggiori coppe europee, nonché l’unico italiano ad avercela fatta con tre squadre  differenti.

CALL ME MISTER – La carriera di Vialli giocatore finisce sostanzialmente qua, con 40 reti in 78 match. Si concede ancora qualche apparizione in campo, come in occasione della partita contro la Lazio nella stagione 1999-2000. Nei biancocelesti era arrivato Roberto Mancini, e Vialli non voleva perdersi quella sfida per nulla al mondo. Il Mancio fu il suo “gemello” negli anni blucerchiati, un grande amico.
In quella stagione inizia la carriera di Vialli come allenatore a tempo pieno. Seconda FA Cup personale al primo tentativo. Porta il Chelsea ai quarti di finale di Champions League, competizione dove i blues erano debuttanti. Perde solo contro il Barcellona, che ribalta il 3 a 1 dell’andata con un 5 a 1 ai supplementari nel ritorno. Il Barcellona non è proprio l’avversario preferito di Vialli, che sia giocatore o allenatore a quanto sembra.
La stagione successiva si apre con la vittoria della Charity Shield contro lo United. Vialli è l’allenatore più vincente del Chelsea fino a quel momento, 5 trofei in neanche 3 anni. La squadra però tentenna in campionato, Vialli ha qualche screzio con alcuni giocatori come per esempio Zola e dopo cinque match viene esonerato.
Un anno dopo prende in considerazione l’offerta del Watford di Elton John, squadra della periferia londinese. Il progetto è ambizioso, gli investimenti pure. Accetta. Riparte dalla serie B inglese credendo in un progetto che si rivelerà però fallimentare. Promozione mancata e quattordicesimo posto in campionato. Si conclude qui la carriera di Vialli come allenatore, che però renderà sempre grazie al calcio inglese. Oltremanica Vialli porta molto, porta se stesso e il suo bagaglio tecnico e culturale, che si sposa benissimo con il football britannico. La tranquillità e la spensieratezza del football di quegli anni gli rimarranno nel cuore e chissà che non torni ad allenare lassù. E’ infatti di questi giorni la notizia che il Southampton stia seriamente pensando a lui per risollevarsi dalla crisi.

Oggi Gianluca Vialli è commentatore per Sky Sport, si è appassionato al golf ma il calcio rimane la sua vita. Sul calcio tra Italia e Inghilterra ha scritto anche un libro, The Italian job. A detta di molti è uno dei più forti attaccanti italiani e non solo di sempre e lo ha dimostrato anche all’estero. Non si è mai trattenuto dal dire ciò che pensava, anche se lo faceva con le grandi intelligenza e cultura proprie di quel ragazzo di buona famiglia cremonese. Scomodo a molti, sperava di allenare in Italia ma probabilmente risulta appunto forse troppo sincero. Però da uno che in carriera ha vinto tutto, mettendo a segno 259 gol in 657 partite – molti dei quali spettacolari – e si è preso sulle spalle tre squadre portandole a conquiste insperate ci si può aspettare qualsiasi cosa.

A cura di Simone Calucci

 

 

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