Arte&Cultura
L’Oriente non ha segreti al Chiossone di Genova
L’Oriente in tutte le sue categorie e declinazioni è il fil rouge di uno dei musei più attivi d’Italia: il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone a Genova– diretto da Donatella Failla con segreteria organizzativa di Anna Bucello- nel cuore della città immerso in un parco a tema (l’ispirazione è l’Oriente con la vegetazione e le belle cascatelle) ben curato con una vista che domina sulla città, dalla Lanterna al Porto Antico al Carlo Felice.
Da qui, lasciandosi alle spalle la terrazza panoramica, la porta verso l’Oriente e le sue meraviglie è subito a sinistra, palesando un magnifico patrimonio d’arte cinese e giapponese, il primo del genere organizzato in forma di pubblica esposizione in Italia. Un Oriente raccontatoci da un eccelso incisore genovese Edoardo Chiossone ( Arenzano 1833 -Tokyo 1898) che lavorò presso l’Officina Carte e Valori del Ministero delle Finanze a Tokyo o meglio uno spicchio d’Oriente, se volete, raccolto da un solo uomo in 24 anni tra pitture, stampe, libri, sculture e suppellettili liturgiche, bronzistica, monete, lacche, strumenti musicali, armi, sculture…Questa la preziosa permanente alla quale si affiancano due temporanee: quella di documentazione fotografica “Amrta, il nutrimento del cuore” fino al prossimo 6 settembre e quella sulle spedizioni Giuseppe Tucci e i dipinti tibetani titolata “alla scoperta del Tibet” che si concluderà il prossimo 5 luglio. Tucci è famosissimo, maestro di Fosco Maraini e leggendario fondatore della moderna Tibetologia, attento conoscitore dell’Oriente anche attraverso le sue lingue ( quella tibetana e suoi dialetti, il cinese ed il sanscrito). Organizzata in collaborazione con l’Università di Vienna , il Cirdis e il FWF (enti di ricerca per darne una definizione grossolana ma esplicativa) l’esposizione segue due filoni: i capolavori della pittura tibetana dei secoli XIV-XIX e le fotografie d’epoca scattate in alcune rilevanti spedizioni in Oriente. Senza nulla togliere alla temporanea “Amrta”, che è ben esposta nella prima sala al piano terra, testimoniando il rito di consacrazione secondo la tradizione del Veda, la Scrittura sacra indù. Da vedere, anche perché, come si legge proprio sotto un’opera fotografica “Dio è Uno, ma i saggi lo chiamano con nomi diversi”. Che è poi uno dei grandi insegnamenti dell’Oriente e della sua cultura.