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Kovacic, il grande bluff che tiene prigioniera l’Inter
La crisi di Mateo Kovacic rischia di non avere fine. L’infortunio in nazionale (per lui si parla di problemi al ginocchio, ma non se ne specificano l’entità, ndr) è l’ultima pagina nera di una carriera che non è mai decollata.
IL PRESUNTO CAMPIONE – Kovacvic è arrivato all’Inter nel gennaio del 2012 pagato la bellezza di 11 milioni di euro. Un’enormità per un ragazzo di appena 18 anni, anzi, oggi si può dire, un errore di valutazione macroscopico. In due anni e mezzo il croato ha sfoderato una decina di partite buone a fronte di tutte le altre, nettamente insufficienti. Nè Stramaccioni, nè Mazzarri, nè Mancini sono riusciti a far esplodere il presunto fenomeno croato: “Presunto” è il termine giusto perchè, a fronte di una buona tecnica, Kovacic manca totalmente di tutti gli altri surplus che portano un giocatore normale ad essere un campione: personalità, senso tattico e incisività nei match.
CORSA “SBALLATA” E RIMPROVERI – Per capire quanto Kovacic sia lontano dal prototipo del campione basta osservare il suo stile di corsa. Il croato tiene sempre gli occhi sulla palla, si muove sempre in verticale e non accelera mai la sua corsa. Inoltre, aspetta sempre il pallone tra i piedi, raramente va “alla caccia” e, quando lo fa, si becca spesso cartellini gialli per la sua totale mancanza di tempistica nell’intervento. Non è un caso che Mancini lo rimproveri spesso nell’arco della gara, come, non lo è il fatto che, con l’arrivo di Shaqiri, il croato abbia stabilmente scaldato la panchina. L’ultima gara da novanta minuti il numero 10 l’ha giocata contro il Sassuolo il primo febbraio. Gara orrida, l’ennesima, che ha convinto Mancini dell’incompatibilità del croato con il suo progetto.
QUALE RUOLO? – L’impressione è che con Kovacic si sia sbagliato tutto fin dall’inizio. Il primo errore è stato affidargli la maglia numero 10. Troppo “pesante” ed importante una simile responsabilità per un ragazzino timido e acerbo come il croato, che deve ancora imparare molto. Il secondo è stato quello di non catechizzarlo subito in un ruolo preciso. Al momento, il nerazzurro è un “nullocampista”. Non ha i tempi del regista, né l’aggressività dell’interno, men che meno il senso d’inserimento e la visione di gioco del trequartista. L’unica sua qualità spiccata è, come detto, la buona tecnica di base, ma è una dote inutile se con il pallone non sai cosa farci.
TROPPO COCCOLATO – Ci sono calciatori giovani con cui si è avuta molta meno pazienza che con Kovacic. Un esempio calzante potrebbe essere fatto con un nerazzurro del passato: Coutinho. Il brasiliano arrivò all’Inter post triplete nell’estate del 2010 con Benitez. In nerazzurro, l’attuale giocatore del Liverpool, giocò in tutto due anni, tra l’estate del 2010 e il gennaio del 2013, intervallato dal prestito all’Espanyol nel gennaio 2012. In tutto 5 reti in 2282 minuti. Kovacic di minuti, in due anni e mezzo ne ha messi insieme 5750 e di reti appena 8. Coutinho fu venduto, sbagliando clamorosamente, al Liverpool per 10 milioni di euro, senza mai avere una vera chance, il croato continua a sprecare occasioni su occasioni. C’è, però una differenza tra i due casi. Coutinho aveva bisogno di due cose per esplodere: mettere su massa muscolare (quando arrivò all’Inter era gracile da fare tenerezza) e giocare nel suo ruolo naturale. Kovacic la massa muscolare ce l’ha. Ciò che non ha è tutto il resto: ruolo, personalità e senso tattico, come già detto.
PROVERBI PRO E PROVERBI CONTRO – L’Inter continua a sperare che Kovacic esploda prima o poi. I nerazzurri non vorrebbero vendere il croato per il timore che possa esplodere altrove, costringendo i dirigenti nerazzurri a mangiarsi le mani. Per questo si continua ad insistere su di lui. Sta al croato, però, dare una svolta alla propria carriera in due modi: anzitutto con ripetizioni continue di sedute tattiche, in secondo luogo, mettendo in campo quella grinta che, finora, non ha mai avuto. Se queste due componenti non combaceranno, l’Inter corre il rischio opposto a quello temuto: tenersi, cioè, un giocatore svalutato, incapace di fare la differenza, perché, se è vero che “la speranza è l’ultima a morire”, è altrettanto vero che, “chi di speranza vive, disperato muore”.
Davide Luciani