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Non siamo più il campionato più bello del mondo, ma diamo tempo al tempo. L’analisi di SportCafe24

MILANO, 16 LUGLIO – Si attende solo il si di Ibrahimovic, l’ufficialità di Thiago Silva alla corte di Ancelotti e Leonardo c’è già stata. Qualcuno la definisce la trattativa del secolo. Una di quelle pagine di calciomercato che un giorno andranno raccontate ai propri figli. Non tanto per le cifre che circolano da un paio di giorni, del resto non più tardi di due anni fa abbiamo assistito alla cessione proprio di Ibra al Barcellona per la stessa cifra in contanti (65 milioni) più il cartellino di Eto’o. La portata dell’evento sta nel ridimensionamento che una grande del calcio mondiale è costretta a fare. Vuoi perchè la famiglia Berlusconi non ha più nè la voglia, nè la possibilità (causa debito di 560 milioni per il lodo Mondadori), vuoi perchè il nostro sistema calcistico è rimasto fermo a guardare l’evoluzione degli altri campionati con la costruzione di stadi di proprietà, sviluppo del merchandising e soprattutto dei vivai. Ma a risentirne non sarà solo il Milan, ma tutto il calcio italiano. Negli ultimi anni siamo passati da paese importatore di fenomeni a paese esportatore, stile Olanda e Sud America. Fino a dieci anni fa, giocatori come Pastore e Sanchez avrebbero sì cambiato casacca, ma non campionato. Fino a dieci anni fa l’Inter avrebbe pagato senza alcuna remora la clausola di Lavezzi, senza pensare di offrire contropartite per abbassare il prezzo. Mai avremmo pensato a un Milan che si assicura Aquilani in prestito con diritto di riscatto in base alle presenze. La Juve di top player ne avrebbe fatti arrivare uno per ruolo, non uno in due stagioni. Dobbiamo quindi prepararci non solo a un ridimensionamento dei bilanci societari, ma a un ridimensionamento di tutta la Serie A. La cessione di due pezzi da novanta come Ibrahimovic e Thiago Silva deve essere il campanello di allarme per il nostro calcio, che deve mettersi al passo con le grandi d’Europa innanzitutto con la costruzione di stadi di proprietà, che permettano di garantire introiti che facciano respirare il bilancio e consentano di ritornare competitivi. L’unica squadra che in Italia ha intrapreso questa politica sembra la Juventus, l’unica in grado di poter spendere 40 milioni di euro senza dover cedere prima ricavare un tesoretto con la cessione di giocatori. Guai però a pensare a una debolezza e ad una mancanza di ambizione delle nostre società. Forse questo ridimensionamento andrebbe accettato a cuor aperto, bisognerebbe accettare che non siamo più il campionato più bello del mondo, quello delle 7 sorelle che lottavano per i vertici, quello che ha sfornato 15 palloni d’oro negli ultimi 25 anni, ma che è arrivato il momento di risanare un calcio malato prima che il Fair Play Finanziario possa rivoluzionare ancor più in negativo la nostra serie A escludendoci dalle coppe europee. La politica di austerity delle nostre società è inevitabile, ma la mentalità tutta italiana di risparmiare fino all’ultimo centesimo le farà rinascere quando si enterà nel pieno del famoso FPF. Il Psg, che già vanta svariati milioni di debiti, ha si uno sceicco alle spalle pronto a ripianare i debiti (come successo anche da noi con Moratti e Berlusconi), ma quando questo non sarà più possibile da regolamento, cosa succederà a Parigi? Se le banche spagnole sono al collasso e non concederanno più prestiti milionari alle due big di Spagna, sarà ancora possibile acquistare giocatori per 94 milioni di euro (vedi Cristiano Ronaldo)? Le società inglesi saranno in grado di ripanare debiti per oltre 300 milioni di euro e di pagare gli stipendi mostruosi dei loro tesserati solo con gli introiti dei propri stadi? A proposito, per chi non lo sapesse il FPF tollera un passivo di bilancio di 50 milioni di euro, se attualmente fosse in vigore, la prossima finale di Champions League sarebbe Napoli-Udinese.
a cura di Antonio Foccillo
