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“Io sono Charlie Hebdo” ma non so che vuol dire…
Per la seconda volta da questa rubrica, mi concedo di sconfinare fori dallo sport: l’ho fatto per Pino Maniaci, lo faccio ora per IL Charlie Hebdo. Ma non sono Pino Maniaci, e soprattutto non potrò mai essere Charlie Hebdo. Nonostante tutto, e nonostante tutti intorno a me facciano il massimo per dirsi tali e quali a loro.

La vignetta di Spinoza.it sul fenomeno “Charlie Hebdo” e non solo
CHARLIE HEBDO NON ESISTE – Charlie Hebdo non esiste perché non era una persona fisica, ma il titolo di un settimanale satirico francese, con sede a Parigi, (il “Charlie” tra l’altro era un omaggio a Charlie Brown dei Peanuts di Schultz, quindi, ipoteticamente, tutti sarebbero questo) i cui vignettisti e buona parte della redazione sono stati sterminati da terroristi sedicenti islamici (al momento c’è dubbio anche su questo, senza entrare nel complotto). Tra l’attentato e le successive sparatorie sono morte circa venti persone. Motivo della strage? Alcune vignette del settimanale che ironizzavano pesantemente sull’Islam. Charlie Hebdo non esiste, soprattutto in Italia, perché quel genere di satira (che aveva come unico limite la libertà dell’opinione personale) in Italia non ha mai avuto presente e non avrebbe neanche futuro: due giorni dopo diversi ragazzi di una scuola, interrogati dai professori, non sapevano cosa fosse accaduto, e sei giorni dopo, con le dovute informazioni, già non ricordavano più la data esatta della strage. Ovvio, il tutto non ha valore statistico, ma un’importanza etica forse sì. Ai ragazzi arriva ciò che selezionano, e ciò che gli mostrano quegli organi di informazione che vedono (spesso “costretti”).
OPINION EXPRESS – Facciamo un piccolo gioco. Immaginiamo che, giorno della strage compreso, per tre giorni, per i motivi più svariati, siamo stati totalmente fuori dal mondo e non sappiamo nulla di quanto accaduto. Decidiamo, venerdì, di fornirci di alcuni dei giornali più famosi d’Italia e leggerne le prime pagine. Vediamone i titoli La Repubblica “Charlie, sfida al terrore”, primo catenaccio “il giornale dopo la strage – torniamo subito in edicola – solidarietà da tutto il mondo” Il Fatto Quotidiano “Il giorno degli sciacalli” e, in editoriale (ovviamente di Marco Travaglio) “Viva la satira” e giù strali sui giornali italiani, così, tanto per gradire. Il Giornale “I macellai islamici li abbiamo in casa – i fanatici che hanno addestrato i terroristi di Parigi frequentavano la moschea di Milano” e in editoriale “non siete Charlie” Infine il Mattino “Caccia ai killer, Francia sotto assedio” e in catenaccio “Eliseo Blindato, 88mila uomini braccano i terroristi”. La domanda è: se uno non sapesse quanto accaduto due giorni fa, ci avrebbe capito qualcosa? No, perché ormai le fonti di informazione classiche, le stesse che si lamentano della perdita di appeal soprattutto verso le giovani generazioni, hanno scelto la linea della pura opinione per gente già informata. In pratica, sugli avvenumenti più importanti, il lettore deve essere già informato e pronto a trovare un approfondimento a pagamento sul giornale. Sono saltati completamente i passaggi dell’informazione e della presa di consapevolezza per un mondo, soprattutto quello giovanile, che ad informarsi da solo non ci pensa proprio più. Il pensiero ormai è semplicemente “seguire la moda” (dove “moda” è inteso nel senso statistico di “valore più presente”) perché, se tante persone dicono la stessa cosa, non si sbaglia mai. Tanto a cambiare opinione basta poco: un nuovo lutto, un nuovo massacro popolare, e di ciò che c’è prima non rimane niente perché già prima niente c’era.
LA STORIA NON E’ FATTA DI PAROLE – Non vi illudete quindi: la strage del Charlie Hebdo non ha fatto storia, né la farà la gigantesca manifestazione di Parigi sorta per dire che tutti sono Charlie (vedere secondo link di quest’articolo). In tempi sempre più frenetici, la vera storia si veste di lentezza. Se sarà l’inizio di qualcosa, lo sapremo forse tra qualche anno. Ma sarà un inizio che già adesso in moltissimi hanno dimenticato. Siamo “hashtag e distintivo”, per i pensieri speriamo un giorno di essere più fortunati
