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Ugo Russo e le emozioni perdute del calcio moderno
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Gentili lettori, chi conosce questa rubrica ne ha imparato ormai le caratteristiche: informazione, contrasto, svelare gli altarini, mostrare il marcio, abbassare gli idoli (se no che overvaluation sarebbe), ma arrivano storie davanti alle quali anche l’overvaluation, senza perdere il suo carattere, deve fermarsi un attimo e riflettere, prima con se stessa, e poi con voi. Storie come quella accaduta all’Armando Picchi di Livorno nell’ultimo pomeriggio di B
L’ESEMPIO DEL MAESTRO – Mancava la serie A e magicamente il mezzo più utilizzato per “sentire” le partite diventa la cara vecchia radio. Vuoi per i grossi costi generali della serie B, spesso svincolata dal pacchetto calcistico preso dagli utenti delle piattaforme satellitari, vuoi perché, per molti motivi, la telecronaca in radio è un concentrato di esperienza impossibile da trovare altrove. Accade quindi che tutte le orecchie sintonizzate sulla B sentano la voce di Ugo Russo pronto per commentare la partita di Livorno. Voce notissima nell’ambiente e agli ascoltatori, tra quelle storiche e perfette della Rai, della generazione dei Cucchi, dei Repice, conoscenza perfetta, uniche sbavature date dall’eccesso di zelo, dal lasciarsi andare ad una narrazione incantata che tuttavia gli ascoltatori avrebbero voluto continuasse per ore (maledetti tempi pubblicitari, anche lì). Carriera immacolata: 42 anni di radio sportiva e il cronista col più alto numero di partite commentate in diretta per Radio Rai.
L’ULTIMA CRONACA – Ma quella sarà una partita speciale, lo annuncia il suo amico, collega e coordinatore Filippo Corsini dallo studio centrale: “Quella di Livorno sarà l’ultima partita commentata da Ugo Russo”. Sì, certo, la pensione, ma come glielo spieghi agli ascoltatori che non si pensionano le emozioni? Al primo collegamento ad Ugo Russo trema la voce, un sospiro durante le formazioni ma poi via, liscio come l’olio, a snocciolare azioni e a raccontare i gol tanti, tantissimi, sembrano non finire mai, saranno addirittura sei, non una sbavatura, non un’emozione fuori posto, non uno sbaglio in date e dati. E’ la radio, signori, e sono i professionisti che la compongono, che prendono una partita e la trasformano in poesia. Fino alla fine: dopo aver dato i tabellini e i commenti, Ugo Russo si appresta a congedarsi da quell’amore che è durato oltre 40 anni. Le sue parole non trattengono, stavolta, il pianto “Ringrazio tutti i meravigliosi ascoltatori che anche questa volta mi hanno seguito. Vi porterò sempre nel mio cuore. Questa è la nostra ultima telecronaca per la Rai, che però è terminata“. Il cordoglio è stato unanime e palese, ripreso addirittura dalla Gazzetta dello Sport, che, per un attimo, ha dimenticato le polemiche su Juventus-Roma e sull’operato di Conte per dare omaggio a una splendida testimonianza di amore dello sport.
LA COSA PIU’ BELLA E’ CIO’ CHE SI AMA – Piccola riflessione: dopo l’avvento delle dirette gol satellitari, la radio è progressivamente diventata l’ultimo mezzo, per importanza, con cui il tifoso si approccia al calcio. Questo ha permesso di svincolarla da qualsiasi logica commerciale nella formazione e nella scelta dei suoi lavoratori. Detta in altri termini, le voci della cronaca radio sportiva nazionale possono permettersi di essere qualitativamente migliori perché hanno meno bisogno di rispondere ad un padrone. E così era Ugo Russo, testimonianza sincera di tutti quei sentimenti che hanno avvicinato me e moltissimi altri al mondo del pallone. Mi sono a volte chiesto come vorrei essere considerato da grande, oggi ho avuto la risposta: come uno che ha fatto per una vita il lavoro che ama e può permettersi di uscire di scena così. Grazie di avermelo fatto capire, Ugo Russo, nessuna tv avrebbe potuto insegnarmelo.