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Storie Mondiali: Pelé-Garrincha, la strana coppia
Il pubblicitario Bill Bernbach sosteneva che “le regole sono ciò che gli artisti rompono; ciò che è memorabile non è mai nato da una formula”. Se si pensa al Brasile che conquistò i Mondiali del 1958, l’aforisma trova la sua concretizzazione. Il calcio è prima di tutto arte, genio, sregolatezza e anticonformismo. In quest’ottica le regole non sono altro che utili dettagli, non certo l’essenza di uno degli sport più belli del mondo.
L’ARCHITETTO PELÉ– Spesso l’arte è anche l’incontro tra elementi antitetici, diversi ma a loro modo inscindibili. Antitetici com’erano Pelé e Garrincha, protagonisti di una delle squadre più forti della storia dei Mondiali. Il primo era l’emblema della professionalità, dotato di un innato senso del gol, quasi come se fosse nato unicamente per fare quello. Pelé era un eroe gentile e travolgente, potente e leggero allo stesso tempo. La punta del Santos era il compromesso ideale tra regola e follia, allo stesso tempo umile geometra ed eccelso architetto.
MALEDETTO GARRINCHA – Garrincha invece era un poeta maledetto. L’ala destra del Botafogo era tutto, meno che perfetto. Un qualunque medico con un po’ di buonsenso gli avrebbe impedito di giocare a calcio. Spina dorsale deformata, bacino sbilanciato, sei centimetri di differenza tra una gamba e l’altra, un ginocchio affetto da varismo e l’altro da valgismo. A questo si aggiungeva una poliomielite contratta da giovane ed un leggero strabismo. Nonostante ciò, e forse grazie a ciò, Garrincha era il calcio nella sua essenza più pura. Nonostante fosse un alcolizzato cronico, riusciva ad ubriacare gli avversari con dribbling irriverenti. Garrincha era semplicemente un bambino senza schemi, ma per questo, un artista.
UNA SELEZIONE INNATURALE – Pelé e Garrincha giocarono insieme in una squadra che vinse contro la scienza. I due furono convocati dal commissario tecnico del Brasile, Vicente Feola, per giocare i Mondiali del 1958, disputatosi nella fredda Svezia. I dirigenti della federazione brasiliana, assillati dall’incubo della vittoria mondiale, sfuggita ai sudamericani in più occasioni, pensarono che l’unica soluzione fosse quella di essere meno brasiliani e diventare più europei. Il Brasile era una squadra talentuosa ma tatticamente indisciplinata. Spettacolare, ma poco concreta. Per questo si pensò di affidarsi ai calcoli: si voleva vincere attraverso la scienza. Duecento calciatori furono passati ai raggi X ed analizzati in laboratorio sul piano fisico e psichiatrico. Si diede vita ad una selezione innaturale.
IL TRIONFO DEL CALCIO – Il Brasile vinse poi quei Mondiali, ma lo fece contraddicendo le intenzioni iniziali. Un test psichiatrico effettuato prima dell’inizio del torneo mise in luce le scarse doti intellettive di Pelé e Garrincha, considerati alla stregua di due bambini. Fu forse per questo che non vennero schierati nelle prime due partite. Arrivarono un successo ed un pareggio (contro Austria ed Inghilterra), ma Feola non era soddisfatto. Il Brasile era solido in difesa, ma mancavano i lampi di genio e la concretezza. Dopo essersi consultato con i senatori della squadra (Didì, Nilton Santos e Bellini), decise allora di rivoluzionare l’undici titolare, lanciando contro l’URSS Zito, il diciassettenne Pelé ed il folle Garrincha. La vocazione del Brasile era, neanche a dirlo, fortemente offensiva, il modulo scelto il 4-2-4. Il quartetto d’attacco, formato da Garrincha, Vavà, Pelé e Zagalo cambiò da quel momento la storia del Mondiale svedese.
LA SVEZIA È AL TAPPETO – Spinto dalle sgroppate atipiche di Garrincha e dal vigore di Pelé, il Brasile arrivò in scioltezza fino alla finale. L’avversario che si trovò di fronte era la Svezia, padrona di casa. Fu un trionfo. La partita terminò 2-5 a favore degli ospiti, non intimoriti dallo svantaggio iniziale (Liedholm andò in rete dopo soli nove minuti). L’Angelo dalle gambe spezzate (autore di due assist) ed O Rei (una doppietta per lui), furono gli eroi dell’incontro. Il Brasile arrivò per la prima volta sul tetto del mondo, vinse i Mondiali e consegnò al firmamento del calcio due artisti, connubio vincente di genio e sregolatezza.
Antonio Casu
@antoniocasu_