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Gulbis: “La marijuana? Mi piace il fatto che sia legale”
Pubblicato
8 anni fa|
Editor
Enrico Steidler

Ernest Gulbis
ROTTERDAM, 16 FEBBRAIO – Abituati, come siamo, a frasi preconfezionate, ad atteggiamenti di circostanza e al trionfo del politicamente corretto – sotto i quali scorrono impetuosi fiumi di denaro sporco e di sostanze dopanti – fanno sensazione le concise ma sentite considerazioni di Ernest Gulbis sulla marijuana: “Cosa mi piace di Rotterdam? Mi piace il fatto che la marijuana sia legale qui, sono a favore di questa cosa. Sfortunatamente, i tennisti non possono farne uso. Veniamo controllati ogni settimana. Ma mi piace il modo di pensare“.
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO – Gulbis è un uomo fortunato: bello (così dicono le sue numerose estimatrici), ricco (“Per i miei spostamenti uso spesso il jet privato di mio padre” – conferma a tennispace.com – “e ho anche un elicottero, un sottomarino e un’astronave. Vengo da una famiglia facoltosa, per me è normale avere soldi”), intelligente (“È vero, rompo dalle 60 alle 70 racchette all’anno. Poi vado dove le fabbricano, vedo quanta attenzione c’è, tutto è fatto a mano per noi giocatori e allora mi sento un idiota” ) e pieno di talento (ora è il numero 132 del ranking ATP, ma esattamente un anno fa era ventunesimo; consapevole di avere i mezzi per giocarsela ai massimi livelli, il tennista lettone sa cosa deve fare per riuscirci e cosa non deve fare, e cioè “bere, fumare e fare tardi la notte”).
Ernesto, tuttavia, non si distingue solo per la sua buona stella e tutto ciò che ha ereditato dalla famiglia e da madre natura, ma anche per le sue proprie qualità, fra le quali spiccano un anticonformismo e una forma mentis davvero singolari (e apprezzabili) in un ventiquattrenne.
Queste qualità, in una società appiattita dalla cupa ortodossia di milioni di Zelig sorridenti e infelici, generalmente non pagano, ma Ernesto – beato lui – può infischiarsene: dice quello che pensa e (soprattutto) pensa a quello che dice, scatenando puntualmente la reazione pavloviana dei conformisti; si pensi, ad esempio, alle critiche che gli sono piovute addosso per aver detto “Sono stato una notte in prigione a Stoccolma per aver adescato una prostituta. […] È stato comunque divertente, credo che ognuno dovrebbe andare in prigione almeno una volta nella vita”. Apriti Cielo! Ernesto viene subito descritto come “il ricco viziato”, un giovinastro immaturo e sbruffone.
Già. Peccato che i censori da rotocalco non abbiano annoverato, nell’elenco degli scapestrati, anche Montanelli, Churchill, Mark Twain e tutti quegli uomini di ingegno (e che ingegno) che conobbero il carcere – spesso per ragioni non meno imbarazzanti – e giunsero alle stesse identiche conclusioni. Difficile, poi, non ricordare le osservazioni malevole e gratuite che Gulbis si è guadagnato per aver detto quel che segue: “Se vieni da una famiglia povera puoi avere come obiettivo diventare ricco. Io no, voglio solo dimostrare che posso farcela ed essere al top. Non mi importa dei soldi o della fama, non ne ho bisogno. Mi piace la competizione e avere obiettivi. Una volta raggiunti, tuttavia, hai un senso di vuoto”. Riapriti Cielo! Qualcuno si è spinto addirittura a parlare di vuoto esistenziale e dell’ennesima riprova di quella mancanza di punti di riferimento che contraddistingue così dolorosamente la vita di tanti giovani, famosi e non.
“MI PIACE IL MODO DI PENSARE” – Quello che Ernesto dice di Rotterdam vale per tutta l’Olanda, un Paese dove oggi l’erba cresce rigogliosa perché da secoli si coltiva la tolleranza, cioè quella “disposizione” – purtroppo poco diffusa dalle nostre parti (e ancor meno nel Paese di Gulbis quando si trovava sotto lo spietato giogo dei comunisti) – “a comprendere e a rispettare idee e comportamenti diversi dai propri” (Dizionario Sabatini Coletti della Lingua Italiana). Questo “modo di pensare”, per dirla con le parole di Gulbis, ha salvato la vita a Baruch Spinoza e a decine di migliaia di ebrei (lasciati liberi di esprimere il proprio talento e di essere parte attiva della società più civile d’Europa, se non del mondo) e ha consentito a Erasmo e a un numero incalcolabile di intellettuali di consegnare ai posteri le proprie idee “rivoluzionarie” e la propria cultura.
Ora, forse Ernesto non sa niente di Baruch Spinoza, e forse anche stavolta gli pioveranno addosso critiche scontate e fuori luogo, però è stato a Rotterdam e ha colto al volo (traendo spunto, se non l’ispirazione, dalla marijuana) le ragioni della grandezza del popolo olandese e della sua unicità. A proposito, Erasmo era di Rotterdam: francamente non so se avrebbe condiviso il pensiero di Ernesto, ma di sicuro lo avrebbe trovato degno di rispetto.
Enrico Steidler
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