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Javier Saviola: la storia del coniglio che rientrò nel cilindro
Pubblicato
8 anni fa|

MALAGA, 19 FEBBRAIO – Non basta un fantastico inizio a fare di un film un capolavoro, né è sufficiente una scena azzeccata ogni tanto. In caso di dubbio chiedere a Javier Saviola, che salito sulle vette del mondo calcistico in età adolescenziale ha poi impiegato il resto della carriera nel tentativo di non precipitare. Il risultato: una lenta planata, niente di così deludente sia chiaro, ma da un Mozart non ti aspetti certo che si metta a scrivere armoniose suonerie per cellulari.
PREDESTINATO – Javier nasce a Buenos Aires l’11 dicembre 1981, al caldo della primavera australe, e inizia a tirare i primi calci in una squadretta di quartiere, la Parque Chas, che continuerà a sostenere anche a molti anni di distanza, ma che da calciatore in erba presto lascerà per compiere il grande salto al River Plate. In Argentina se sei grosso ti chiamano sempre tanque, se sei normale magari usano la fantasia ma se sei come Javier Saviola, con quel fisico minuto, 1 metro e 69 presto raggiunto e mai abbandonato, una faccina spaurita e dei denti neanche tanto piccoli… beh ti tocca conejo. Ma avere un soprannome a quell’età vuol dire che sei già forte, e infatti a 16 anni Javier esordisce in prima squadra per volere di Ramon Diaz, con tanto di gol contro il Gymnasia y Esgrima de Jujuy. Prima stagione (quella 1998-99) passata a prendere confidenza con il palcoscenico e le randellate dei difensori, è nella successiva che il ragazzo esplode: 19 gol su 33 partite di campionato e miglior marcatore del torneo di apertura. Ha solo 18 anni, potrebbe evaporare ma invece si conferma nella stagione successiva, anzi rilancia con 20 gol in campionato. A quel punto Javier è su un razzo puntato verso il successo, viene convocato per il Mondiale Under 20 organizzato proprio in Argentina nel 2001 e non si lascia sfuggire l’occasione: l’Argentina vince, lui segna in finale e si aggiudica il premio di miglior giocatore del torneo, prevalendo su giocatori dello spessore di Essien, Adriano, Van der Vaart, ma anche su un altro argentino al tempo quotatissimo, D’Alessandro, imploso di lì a poco. Maradona lo nomina suo erede potenziale, tanto che in patria iniziano a chiamarlo pibito, come a dire “apprendista pibe“. Platini lo definisce “micidiale”. Gli operatori di mercato hanno una sola certezza: chi prende Saviola va sul sicuro, tecnica velocità fantasia per una seconda punta ideale.
IL GRANDE SALTO… NEL BUIO – E infatti lo prende il Barcellona, che non essendo ancora in grado di schierare i Messi prodotti in casa va a spendere 24 milioni di euro per un diciannovenne. E qui succede qualcosa di strano, che segnerà la carriera del conejo: nonostante 3 stagioni ad alto livello (60 gol in 146 partite disputate tra Liga e Coppe, non tutte da titolare in verità) e il titolo olimpico appena vinto con la sua Nazionale, la dirigenza decide di cederlo a una squadra non di primissimo livello. Ironia della sorte, proprio nell’anno in cui prende il passaporto spagnolo (storie di lontani parenti, insomma siamo alle solite) parte per la Francia e se ne va al Monaco. Non facile da accettare per un ragazzo che credeva di essere il numero 1, il giocatore ne risente e trova stimoli solo in Champions League, con 4 gol in 7 partite. Gli operatori del mercato iniziano a porsi delle domande, girano voci peraltro mai confermate di uno stile di vita un po’ eccessivo. Saviola a fine stagione torna in Spagna per una soluzione sfiziosa, il Siviglia. Javier sembra gradire, in Liga trova stimoli e qualche gol, ma è in Europa che addirittura la squadra fa sfracelli vincendo la Coppa UEFA. Saviola viene anche convocato per i Mondiali di Germania, esperienza in verità non lieta per il calcio argentino ma che a lui porta un gol, quindi un altro ricordo indelebile. Siamo nel 2006 e il ragazzo sta crescendo, ha 24 anni ed è ancora di proprietà del Barcellona, che infatti se lo riprende. Vuoi vedere che è la volta buona, in fondo il ragazzo non ha praticamente mai steccato una stagione. Macché. L’allenatore Rijkard lo considera con la stessa simpatia con cui un allergico vede una cesta piena di polline, e in più stavolta in rosa c’è un ragazzino di 19 anni che promette benino: Lionel Messi. Alla fine 18 partite (neanche tutte dall’inizio), una manciata di gol e la sensazione che gli operatori di mercato ora parleranno di altro.
COMPAGNO DI MERENGUES – Il dirigente blaugrana Begiristain a fine stagione fa scadere il contratto e Saviola si ritrova nella schiera dei parametri zero. Le voci (sempre non confermate) sulla vita poco adeguata del conejo ricominciano a girare ma un club di primissima fascia decide di puntare qualche fiche su colui che solo pochi anni prima mangiava in testa a tutti i suoi coetanei, e così il nostro si ritrova al Real Madrid. La notizia fa un certo scalpore, si parla di tradimento, si cerca di costruire la solita cattedrale di carta facendo leva sull’eterna rivalità non solo sportiva tra Barcellona e Madrid. Ma il bombazo dura poco, perché è difficile parlare di tradimento quando uno viene scaricato. Dura poco anche la speranza di riscatto del conejo, che in pratica passa dalla padella di Rijkard alla brace di Schuster prima e Juande Ramos poi, collezionando due stagioni da 18 presenze e 4 gol complessivi in campionato e trovandosi di fronte per la prima volta al conclamato fallimento, che ineluttabilmente lo porta lontano da Madrid.
DERIVA PORTOGHESE – Dopo vari interessamenti (praticamente richiesta di informazioni sul prezzo e successiva ritirata) di blasonati club europei, tra cui la Juventus, è il Benfica a credere in questo ragazzo non ancora ventottenne e a formulare un’offerta per aggiudicarselo. Il Real non oppone la minima resistenza, intasca 5 milioni di euro e nel giugno del 2009 Javier atterra sulla Superliga portoghese. Prima stagione niente male, miglior giocatore del campionato, titolo vinto dai dragoni e straordinaria media gol, con 18 gol in 26 partite complessive tra campionato e coppe. Ma la seconda annata riporta il ragazzo alla realtà: parecchi piccoli infortuni, poche presenze, 7 gol complessivi e soprattutto un simpatico verbale per guida in stato di ebbrezza nel marzo 2011. Terza annata ancora peggiore, inizia a circolare la sensazione che questo ragazzo il meglio lo abbia già dato e che quel razzo puntato verso il successo in realtà stia ricadendo a gran velocità sulla terra.
L’ULTIMA CHANCE – Ma c’è un colpo di scena. Il Malaga dell’Emiro birichino (sparisce lasciando dei crateri in società) viene attirato dal prezzo stracciato di questo giocatore che un nome in fondo ancora ce l’ha, e se lo aggiudica per una stagione. Saviola si rende conto che altri treni non passeranno e che per tornare in Argentina c’è ancora tempo, per cui mette a disposizione non più soltanto il suo talento, ma anche la sua esperienza per far crescere compagni più giovani, in particolare Isco. Il risultato di squadra è brillante: raggiunti gli ottavi in Champions e una buona posizione in campionato, dove Javier segna 7 gol in 19 partite, l’ultimo e decisivo sabato scorso contro l’Athletic Bilbao. Qualche prima pagina per lui, niente di clamoroso ma in fondo è quanto basta per farlo sentire ancora un giocatore vero.
TITOLI DI CODA – E siamo ad oggi, per cui ci dobbiamo necessariamente fermare, ma possiamo già immaginare cosa accadrà. L’esperienza al Malaga terminerà, Javier otterrà un buon contratto in MLS, dove giocherà un paio di stagioni per poi tornare in patria a chiudere la carriera e occuparsi da vicino della squadra del suo barrio, la Parque Chas, che un paio di anni fa salvò da una triste fine, ed insegnare ai giovani talenti un paio di cosette che potrebbero essere utili, non solo nel calcio.
La prima: una volta capito che non si può volare è bene preoccuparsi di cadere con un certo stile. La seconda: un fantastico inizio non fa di un film un capolavoro, ma è pur sempre molto meglio di niente.
Andrea Cioli (@AndreaCiolic)
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