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Arte&Cultura

L’umanità di Savoldo nell’Adorazione dei pastori

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Giovan Girolamo Savoldo, "Adorazione dei pastori", Santa Maria la Nuova, Terlizzi.
Giovan Girolamo Savoldo, "Adorazione dei pastori", Santa Maria la Nuova, Terlizzi.

Giovan Girolamo Savoldo, “Adorazione dei pastori”, Santa Maria la Nuova, Terlizzi.

Nella bella chiesa cinquecentesca di Santa Maria la Nuova di Terlizzi (a circa 30 Km da Bari) è conservata una delle più importanti tele del Rinascimento italiano. L’opera fa parte della cappella Scalera, cappella voluta dalla omonima famiglia giunta a Terlizzi sul finire del ‘500, ma originaria di San Severino Lucano. La tela è incastonata all’interno di una cornice monumentale, che presenta ai suoi lati due coppie di eleganti colonne tortili, culminanti in quattro capitelli in stile corinzio.

SVELIAMO IL MISTERO – L’opera in questione è la Adorazione dei pastori di Giovan Girolamo Savoldo, il grande pittore bresciano che, per taluni, sulla scia di quanto già aveva osservato Roberto Longhi, avrebbe anticipato Caravaggio, in virtù dei mirabili effetti chiaroscurali presenti nelle sue tele, e grazie alla presenza, nelle sue scene sacre (specie quelle della piena maturità) di personaggi presi – così come saranno quelli del Merisi – direttamente dalla strada, direttamente dalla campagna, in grado di conferire alle opere un sapore squisitamente volgare, eliminando, così, quella linea di confine che separa il sacro e il profano.

Quella conservata a Terlizzi, dipinta intorno al 1540, si può dire sia la più sintetica, la più minimalista, la più essenziale delle diverse versione realizzate da Savoldo dello stesso tema (una versione dell’Adorazione, per esempio, si trova oggi a Venezia, nella chiesa di San Giobbe, e un’altra è conservata nella Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia), dal momento che, rispetto alle altre repliche, questa presenta meno personaggi, meno elementi iconografici, ma capace, allo stesso tempo, di descrivere l’episodio evangelico con estrema immediatezza, non trascurando tuttavia il profondo significato teologico ed escatologico che questo evento porta dentro di sé.

UN MISTERO CHIAMATO SAVOLDO – Di Giovan Girolamo Savoldo non si sa molto: avvolte nel mistero sono le sue origini, così come misteriosa risulta essere anche la sua formazione. Ma è indubbio che egli guardasse con molta ammirazione e profondo interesse, stando almeno alle sue prime opere, artisti come Leonardo, Boltraffio, Bramantino, cioè i maestri della grande tradizione della pittura lombarda che si dispiega a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, e dai quali, Savoldo, trasse il gusto di un realismo fortemente accentuato. Pare, sempre riguardo alla sua formazione, che il pittore bresciano abbia fatto anche un viaggio a Venezia, dove poté ammirare, in particolare, le opere di Giorgione, ma questo soggiorno in terra veneta rimane pure avvolto in un’ombra di mistero. In ogni caso, alcune delle sue opere mature, come per esempio il Tobiolo e l’angelo del 1527 circa (Roma, Galleria Borghese), presentano forti richiami alla pittura di Tiziano, dalla quale Savoldo recupera il particolare luminismo, traducendolo però in brillanti vibrazioni. La sua data di nascita, inoltre, oscilla tra il 1480 e il 1485 e la sua morte avvenne dopo il 1548, ma non si sa bene dove, forse proprio a Venezia.

PANORAMICA DELL’OPERA – Nella Adorazione dei pastori di Terlizzi, il forte realismo tipicamente lombardo dell’artista è abbastanza manifesto, e lo si può vedere chiaramente a cominciare dalla capanna entro cui Savoldo inserisce la Sacra Famiglia: la Vergine e san Giuseppe in adorazione del Figlio. Ma anche nel paesaggio sullo sfondo emerge l’attaccamento alla realtà da parte del pittore bresciano, perché questo paesaggio non può essere stato immaginato dall’artista, Savoldo non inventava nulla, ma dipinto guardando sicuramente le vallate e le campagne venete o più verosimilmente quelle lombarde.

Qualcosa di curioso sta accadendo in questa capanna dimessa e diroccata, e un pastore si affaccia da una finestrella per guardare al suo interno e assistere, probabilmente senza capire molto, all’accedere del fatto sacro. Il Bambino pare irrequieto: alza la gamba sinistra e muove le braccia, perché non è capace di star fermo. La Madonna e Giuseppe, al contrario, sono immobili, guardano il Figlio con profonda umanità e umiltà. Mentre nel cielo, in lontananza, un bagliore improvviso, quello dello Spirito Santo, ci dà la certezza che qualcosa sta accadendo e che la storia degli uomini sta cambiando con il Cristo appena nato.

L’impaginazione della tela, con l’idea di Savoldo di inserire i suoi personaggi all’interno di una ambientazione così povera, risente fortemente l’influsso di Bramantino, che amava inserire le sue figure all’interno di architetture contemporanee, alle volte anche distrutte o abbandonate (si veda l’Adorazione dei Magi). Un’idea geniale, grazie alla quale la dimensione del sacro entra finalmente a contatto diretto con la dimensione mondana degli uomini. In Savoldo, in maniera particolare, queste due dimensioni comunicano intimamente l’una con l’altra, fino a diventare una cosa sola, dove gli uomini comunicano con Dio non più guardando nel cielo, ma guardando dentro la propria coscienza e la propria interiorità, poichè Cristo è ogni uomo.

Ed è proprio quello che si avverte, si sente, si respira in questa pala terlizzese, in cui l’umiltà manifestata da questa gente rozza e popolana è il segno inequivocabile della presenza di Dio in ognuno di noi.

Michele Lasala

 

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