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La Juventus e il mal di Champions. Storia di una corazzata che diventa barchetta

“Nessuno è profeta in patria” si sente spesso dire come se fosse una legge della fisica, una regola immutabile e costante. In realtà poche regole, se questa lo è, hanno così tante eccezioni. Scegliamo un esempio fra i mille che si possono fare: le pop star. Qui da noi produciamo decine di divi, divette e boy band (per non parlare dei rapper) che furoreggiano al di qua delle Alpi, ma al di là non li considera nessuno. Chissà perché. Sotto questo aspetto, la patria può addirittura ridursi a semplice regione, e artisti che si coprono di gloria e di quattrini in Campania, ad esempio, a Grosseto o a Belluno sono dei Carneadi qualunque. Certo, si tratta di questioni molto complesse e ogni tentativo di semplificarle è azzardato e va quindi fatto con estrema cautela. C’è però qualcosa che non si può fare a meno di notare, qualcosa che riaffiora per l’ennesima volta guardando la Champions League e che ricorda Fabri Fibra quanto i Jalisse: la Juventus.
CHAMPIONSEITE RECIDIVANTE – Possibile, si chiedono in molti, che alla nostra invincibile corazzata basti varcare il limite delle acque territoriali per diventare una fragile barchetta esposta agli arrembaggi dei pirati turchi e danesi? Conquistare solo un punto su sei contro questo Real ci sta, e non è il caso di drammatizzare malgrado le aspettative fossero ben altre, ma rischiare di farsi estromettere dall’Europa che conta naufragando in un girone tutt’altro che irresistibile (e di fare anche peggio dell’anno scorso) è davvero imbarazzante per chi è abituato a spadroneggiare a casa sua. Questione di sfortuna, almeno in parte, e di forza degli avversari, ma anche di DNA. Già, perché il mal di trasferta della Juve non è un disturbo che si manifesta adesso come un fulmine a ciel sereno, ma una magagna che si trascina da sempre come un neo inestirpabile, una specie di rara e beffarda tara ereditaria che appassiona gli studiosi di vicende e patologie pallonare.

Gareth Bale, autore del secondo gol delle Merengues allo Juventus Stadium
GIOIE E DOLORI – Il dato statistico è davvero singolare e si presta a infiniti tentativi di interpretazione: nella sua antica e gloriosa storia, la Vecchia Signora ha fatto letteralmente incetta di trofei sul sacro suolo nazionale (ben 44 fra scudetti, Coppe Italia e Supercoppe contro i 30 dell’Inter e i 29 del Milan), ma lontano dalle mura amiche il rendimento non è stato altrettanto devastante e, anzi, appare decisamente sproporzionato se confrontato con quello delle altre 11 squadre che vantano almeno due Coppe dei Campioni /Champions League in bacheca. Non è tanto una questione di trofei internazionali in generale (la Juventus ha vinto il treble dell’Uefa, Champions, Coppa Uefa e Coppa delle Coppe – solo Ajax, Bayern e Chelsea hanno fatto altrettanto – e ha disputato 18 finali, di cui 11 vinte) quanto di quello che conta più di tutti in particolare, lo Special One dei riconoscimenti, quello che da solo vale come 3 Coppe Uefa e una ventina di Supercoppe, la Coppa dalle grandi orecchie. E’ qui che il male si manifesta puntualmente e che ha lasciato il segno più doloroso: solo 2 Coppe dei Campioni/Champions League, infatti, contro 29 scudetti (l’opinione di Andrea Agnelli a riguardo del numero di questi ultimi è irrilevante ai fini statistici).
CARTA CANTA – Facciamo due rapidi conti confrontando il rendimento casalingo e quello in trasferta dei G12 del calcio europeo considerando i trofei rispettivamente più importanti: scudetto e (fra parentesi) Champions. Real Madrid: 32 (9); Milan: 18 (7); Liverpool: 18 (5); Bayern Monaco: 23 (5); Ajax: 32 (4); Barcellona: 22 (4); Inter: 18 (3); Manchester United: 20 (3); Juventus: 29 (2); Benfica: 24 (2); Porto: 27 (2); Nottingham Forest: 1 (2). La sproporzione è evidente, ma non altrettanto facile da spiegare. Se si esclude il caso più unico che raro del Nottingham (due Coppe dei campioni contro un solo titolo nazionale: cose da British) tutte le squadre dei campionati più importanti – dove è più difficile vincere il titolo – hanno un rapporto vittorie casa/trasferta abbastanza uniforme: stando alla media, ad esempio, l’Inter vince una Champions ogni 6 scudetti, il Bayern una ogni 4 e mezzo e Liverpool e Real (le migliori) una ogni 3 e mezzo. La Juventus, invece, una ogni 14 e mezzo, addirittura 15 e mezzo se facciamo finta di assecondare Agnelli.
Questo è il dato, e questa è anche l’unica certezza. E se è vero che la Juve ha perso ben 5 finali (come Bayern e Benfica e una più del Milan), è anche vero che qui si parla di vittorie, e che da questo punto di vista chi arriva secondo, come dice Mou, è solo il primo degli ultimi. Sulle cause, poi, dell’atavico malessere, di quella maledetta Championseìte che anche quest’anno sembra affliggere i bianconeri, ogni opinione è lecita in una scienza inesatta come il calcio. Di sicuro, molti traggono spunto anche da tutto ciò per fare facili ironie sulla società più scudettata d’Italia e sul suo non sempre limpidissimo passato, e più che di singolarità statistica parlano di vero e proprio indizio. Sarebbe bello sapere come la pensano i più autorevoli commentatori sportivi al riguardo, ma forse per un caso come questo non ci vuole l’esperto di football o di statistica. No: qui ci vuole Agatha Christie.
Enrico Steidler
