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Lacci anti-omofobia, Dessena promette: “Con l’Udinese si replica”
Pubblicato
7 anni fa|
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Enrico Steidler
“Contro l’Udinese giocherò con i lacci colorati sulle mie scarpe. Ho sposato questo progetto appena mi è stato proposto dalla società e continuerò ad appoggiarlo perché ci credo. E’ giusto dare segnali importanti. Chi non capisce è ignorante. Le idee vanno rispettate, tutti devono essere trattati allo stesso modo, in modo normale, soprattutto quando si esprimono dei sentimenti”. Ha le idee chiare Daniele Dessena, e grinta da vendere. Il ventiseienne centrocampista del Cagliari, finito sotto i riflettori per i suoi lacci-arcobaleno e gli insulti – pochi, fortunatamente – piovutigli addosso via Facebook dopo il match contro l’Inter di domenica scorsa (“caghino”, “sei solo un frocio” e così via), ribadisce a gran voce le ragioni della sua adesione alla campagna di sensibilizzazione “Diamo un calcio all’omofobia, chi allaccia ci mette la faccia” (lanciata da Paddy Power con ArciLesbica, Arcigay e Fondazione Candido Cannavò per lo Sport) e apre una strada che sarà presto, si spera, percorsa da tutti.

Davide Moscardelli testimonial di “Diamo un calcio all’omofobia, chi allaccia ci mette la faccia”
UN CALCIO ALL’IGNORANZA – “Sono più felice di tutti i messaggi positivi che mi sono arrivati da amici sparsi in mezza Italia” – dichiara Dessena dalle pagine della Rosea a riguardo delle male parole e degli inviti a farsi i fatti suoi – “e soprattutto da persone di tutta la Sardegna, la terra in cui gioco e lavoro. Ho sentito la vicinanza di tanta gente e ho percepito la sensibilità di molte persone. Quelli che mi hanno insultato, in fondo, erano pochissimi, quattro o cinque in tutto, non devo curarmi particolarmente di loro. Confermo che l’ignoranza va abbattuta. Andava fatto da subito, non si doveva arrivare a questo punto”. E siccome il ferro va battuto finché è caldo con l’Udinese si replica, e questa volta in buona compagnia. “Anche alcuni di loro” – rivela il centrocampista emiliano parlando dei suoi compagni di squadra – “hanno approvato e appoggiato l’iniziativa e domenica sostituiranno i lacci delle scarpe con quelli colorati della campagna. Non vi dico nulla perché è giusto che lo scopriate al campo. Ma già sapete che Pinilla è uno di questi. Domenica solo per un disguido (lo scatolone contenente i lacci era stato dimenticato a Cagliari e solo Dessena li aveva con sé, ndr) non li ha messi pure lui”. Oltre al sostegno dei suoi compagni e del Cagliari Calcio, l’ex blucerchiato può contare anche su quello dei suoi familiari: “Sono orgogliosi. Ma soprattutto sono io che sono arrivato a prendere questa iniziativa grazie all’educazione che ho ricevuto. Mio padre, Bachisio, ex calciatore di Interregionale, operaio a Parma alla società acqua luce e gas, mi ha trasmesso certi valori e ha insegnato a me e mio fratello che il rispetto è la cosa più importante. Anche a mio figlio Tommaso, che ogni settimana vedo a Parma, insegnerò che prima di tutto c’è il rispetto. Giudicare una persona significa non avere rispetto e chi giudica sbaglia”.
I COLORI DELLA SPERANZA – Ora, fateci caso. Il valore del gesto di Dessena, che ricorda molto da vicino quello di Emma Green-Tregaro e Moa Hjelmer ai mondiali di atletica di Mosca della scorsa estate, aumenta a dismisura se si considera che: 1)- riscatta l’immagine del calcio italiano. Ricordate Marcello Lippi (“Gay nel calcio? Mai visto uno!”) e Antonio Cassano (“Froci? Problemi loro. Spero non in nazionale” )? Ecco…; 2)- risveglia dal loro colpevole torpore le nostre istituzioni sportive, capaci di dare un calcio all’omofobia a parole ma non nei fatti, come accade ad esempio in Germania e nel Regno Unito; 3)- offre a tutti, grazie alla sua risonanza mediatica, un prezioso spunto di riflessione sull’argomento; 4)- capita a proposito. Al di là dell’ignoranza che ancora affligge e contraddistingue larghi strati della nostra società, infatti (e da cui provengono gli insulti piovuti sul giocatore), è il rigurgito di intolleranza medioevale che si sta sperimentando un po’ in tutto il mondo a preoccupare e a rendere urgente il coinvolgimento e l’impegno concreto della società civile. Le leggi anti-gay approvate in Russia (e la violenta repressione del dissenso), la caccia al “diverso” aperta tre giorni fa dal presidente ugandese Yoweri Museveni (che ha ratificato un provvedimento aberrante – ergastolo per gli omosessuali recidivi – e accompagnato da farneticazioni pseudo-scientifiche) e la Religious Freedom Bill, la legge dello stato dell’Arizona (che consente a qualsiasi commerciante di rifiutarsi di fornire beni e servizi a gay e lesbiche nel nome del proprio credo religioso) sulla quale ha fortunatamente posto ieri il veto in extremis la governatrice repubblicana Jan Brewer, sono i sintomi di un male che non può più essere ignorato e che va contrastato con ogni mezzo e su tutti i campi, da quello della politica a quelli della Serie A.
Basta poco, in fondo, per tenere viva la speranza: bastano i colori dell’arcobaleno e il coraggio di indossarli.
Enrico Steidler
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