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Arte&Cultura

Shoah, Primo Levi: il prigioniero numero 174.517

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I cancelli di Auschwitz
Lo scrittore Primo Levi

Lo scrittore Primo Levi

LA STORIA – Il termine Shoah viene dall’ebraico e significa “distruzione”. Il 27 Gennaio del 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa muovendosi in direzione della città tedesca di Berlino, giunsero in Polonia e scoprirono il campo di concentramento di Auschwitz. Le vicende narrate dai sopravvissuti sconvolsero il mondo. Ed è dal 2000 che si celebra questa ricorrenza.  “Il giorno della memoria” in Italia è riconosciuto dagli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 Luglio 2000.

PRIMO LEVI, il prigioniero numero 174.517 –  Quella che Primo Levi ci ha fornito è una testimonianza diretta sui fatti mostruosi dell’Olocausto poiché visse personalmente gli orrori di Auschwitz. Fu scrittore, poeta, chimico e partigiano. Italiano di origine ebraiche venne catturato dai nazifascisti nel 1943. Nel 1944 venne condotto al campo di sterminio conosciuto come Auschwitz III. Riuscì però a scampare alla morte nel campo di concentramento per quelle che lui stesso definì coincidenze fortunate. Mosso dalla voglia di raccontare al mondo le atrocità vissute nella Shoah scrisse il romanzo testimonianza “Se questo è un uomo”. La narrazione concisa e asciutta, scritta tutta d’un fiato, fa di quest’opera un testo realista-descrittivo. Celebri alcuni versi: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no”. Il poeta invita anche a non dimenticare: “Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi”. 

L’UOMO E LE SUE MASCHERE  – I fatti dell’Olocausto non sono lontanissimi da noi e sono fatti terribili, una domanda sorge spontanea: L’uomo, chi è costui veramente? Viviamo nell’era dell’immagine, della tecnologia e del progresso ma in realtà a volte tutto è come una gigantesca maschera pirandelliana dietro al quale si cela un piccolo e insicuro uomo primitivo. Ebbene potremmo rispondere ricorrendo ad alcuni celebri versi della poesia “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo, uomo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda”. 

UN GIORNO NON BASTA PER RICORDARE – L’uomo tende ad archiviare o a rimuovere quelli che sono i fatti dolorosi legati alla sua esistenza o alla sua storia. Si fa prima a chiudere tutto in un cassetto. Spesso associamo la giornata della memoria alle attività scolastiche e ai cineforum e facilmente corriamo nel rischio di sminuire quello che è il suo vero significato. “Il giorno della memoria” è molto più di questo.

Erika Aleksandra Provenzano

 

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