Ciclismo
Marco Pantani e la maledetta mattina di Campiglio: test irregolare, fu un complotto?

Sabato 5 giugno 1999, Madonna di Campiglio, Giro d’Italia: Marco Pantani, fino a quel giorno maglia rosa, viene svegliato alle 7,25 da qualcuno che bussa alla porta della sua camera. Ci sono Antonio Coccioni, commissario internazionale dell’Uci, e Beppe Martinelli, direttore sportivo della Mercatone Uno-Bianchi. Il corridore dovrà sottoporsi ad un controllo antidoping a sorpresa. Risulta positivo, il valore del suo ematocrito è al 52%, l’Uci toglie d’ufficio l’1%, ma è comunque sopra di un punto rispetto alla soglia limite. Scatta l’esclusione dalla corsa con effetto immediato, Pantani perde la sua maglia rosa alla ventunesima tappa, la penultima, la Madonna di Campiglio-Edolo, quella più attesa. In quel momento inizia l’incubo di un campione, e soprattutto di un uomo.
“IN NOME DI MARCO” – Sono state dette tante cose sui fatti accaduti quel giorno. Opinioni, punti di vista, parole a fiume, più o meno appropriate, in certi casi fuori luogo. La sensazione è sempre quella che la verità sia sempre stata raccontata a metà, che molte cose non si vogliano dire e far venire a galla. Tonina Pantani, madre del corridore, combatte una battaglia da nove anni, dal 14 febbraio 2004, giorno in cui suo figlio fu trovato morto in un residence a Rimini. Una battaglia per la verità. Ha scritto un libro a quattro mani con il giornalista Francesco Ceniti, uscito ieri (edito dalla Rizzoli), intitolato “In nome di Marco – La voce di una madre, il cuore di un tifoso”. Si parla del Pantani ciclista, del Pantani campione e di un uomo. Un ritratto a tutto tondo. Si parla anche di quel maledetto 5 giugno e delle procedure con cui fu portato avanti il controllo. Secondo ciò che sostiene il libro, ci fu un vizio di forma, un’irregolarità che avrebbe potuto far invalidare il test ed evitare la squalifica del Pirata. Fu violato il protocollo Uci, perché il controllo avrebbe potuto avere inizio solo dopo la scelta da parte dell’atleta della provetta da utilizzare. Quel giorno invece fu il medico a scegliere il contenitore in cui finì il sangue di Pantani. Un eventuale ricorso sarebbe stato probabilmente vinto, il campione poteva essere contaminato o manipolato, i risultati del test non veritieri.
SECONDO CONTROLLO, EMATOCRITO REGOLARE – Un secondo controllo al quale Pantani si sottopose la sera stessa ad Imola diede un esito diverso rispetto al primo. Ematocrito al 48% circa, risultato negativo, il ciclista sarebbe potuto rimanere in gara e difendere la maglia rosa.
I DUBBI E LE PAROLE DI ARMSTRONG – I conti non tornano. Due controlli in poche ore, esiti completamente diversi. Pantani fu squalificato per poche settimane, non vinse quel Giro, ma avrebbe potuto partecipare al Tour de France, conquistato l’anno prima e nel quale sarebbe partito con i favori del pronostico. E invece rimase a casa. Quella corsa la vinse trionfalmente Lance Armstrong, da poco tornato alle gare dopo aver vinto la battaglia contro il cancro. In questi mesi il texano ha ammesso di aver fatto uso sistematicamente di sostanze dopanti, e ha affermato pochi giorni fa che Hein Verbruggen, allora presidente dell’Uci, era a conoscenza delle sue pratiche illecite, ma, nonostante ciò, lo coprì. Le parole di un personaggio come Armstrong sono da prendere con il dovere della verifica dei fatti, ora come ora si tratta solo di parole, Verbruggen ha smentito categoricamente le affermazioni dello statunitense, ma i dubbi aumentano. Un nuovo scandalo avrebbe abbattuto ulteriormente il già martoriato mondo del ciclismo, sconvolto da continui casi di doping. Un ciclista che vince un Tour de France dopo aver sconfitto un tumore era il testimonial perfetto per uno sport da rilanciare. In questo quadro “idilliaco” Pantani forse sarebbe stato “di troppo”.
Probabilmente non si saprà mai con certezza se si sia trattato o meno di un complotto contro Pantani. Sono teorie, ma provare a far luce è doveroso, per rispetto verso la memoria di uomo che non c’è più e di chi lo ha amato, nella vita e sulla strada.
Antonio Casu (@antoniocasu_)
