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Torino, perché non decolli?

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Giampiero Ventura: il suo Torino parte in pole nella corsa per l'Europa League
Cerci, il "top player" di questo Torino

Cerci, il “top player” di questo Torino

Il “Cuore granata“, l’invisibile spinta propulsiva che ha tirato fuori il Torino dai bassifondi del fallimento, dallo strazio di Superga, dalla dipartita anzitempo della “farfalla” Meroni, sotto la Mole di miracoli ne ha fatti. Nel capoluogo piemontese il Toro è sempre seguitissimo, forse ancor più della Juventus, a cui nel corso degli anni ha dovuto lasciar spazio per la crescita esponenziale che l’ha imposta come la società numero uno in Italia. Ma la società granata non ha mai del tutto “calato le corna”, e fino agli anni ’90, con disponibilità economiche e tecniche inferiori, è riuscita a conquistare trofei o piazzamenti importanti, come la Coppa Italia nel ’93 o la finale di Coppa Uefa con l’Ajax l’anno precedente. Dopo l’inattesa retrocessione del 1996, però, per i suoi fan sono state più gioie che dolori. Non contando i derby, che il Torino non vince da 18 anni (gol di Pogba a parte..), tra le innumerevoli salite e discese agli inferi della B, la squadra è ancora alla spasmodica( e snervante)ricerca di un’identità propria nella massima serie. Certo, nessuno chiede lo Scudetto: quella è roba di 37 anni fa. Ma neanche la mediocrità. Nella stagione in corso,  i piemontesi sono stati autori di un inizio alquanto promettente. Poi, qualcosa si è inceppato. Vediamo perchè.

CERCI OK, MA DIETRO? – Cerci, 26enne di Velletri, è senza dubbio la stella di questa squadra. Il calciatore continua nella sua graduale maturazione di anno in anno, e oltre ad notevole estro, ora affianca anche i gol. Assistman, rigorista: Ventura non può fare a meno di lui. Immobile, chiamato a sostituire Bianchi (anche se non sono proprio intercambiabili), dopo un’opaca stagione a Genova, si sta riprendendo. Ma il tecnico genovese, seduto sulla panchina dal 2011 riportando il Toro in A, ha sì imparato a darle, ma le prende pure. Se escludiamo la prima giornata, con vittoria casalinga (prima e unica) sul Sassuolo per due a zero, la porta del pur bravo Padelli non è più rimasta inviolata. Ben ventuno sono i gol subiti dalla retroguardia nelle ultime undici partite: approssimando veramente di poco, vengono due a partita. Basta poco a intuire che, partendo con una simile zavorra di base, per vincere serve un gol in più dell’altro. E fare tre gol a partita ogni domenica, soprattutto in serie A, non è facile per nessuno.

LA DIFESA..ATTACCA – La vocazione offensiva di mister Ventura è la croce e delizia della sua creatura. Che sia un inusuale 4-2-4 o un 3-4-3,  in primo luogo il credo è offendere l’avversario. Ma la coperta diventa inesorabilmente corta; Moretti, D’Ambrosio e Pasquale sono dei buonissimi giocatori, ma preferiscono correre lungo la fascia di sinistra piuttosto che coprire. Non a caso, la stragrande maggioranza delle reti subite dai granata nascono proprio da falle createsi in quella zona del campo. Con la difesa in apnea, è più facile essere costretti alle maniere forti: quattro rigori contro (anche se un paio generosi) sono una cifra già ragguardevole. Senza contare le reti presi sugli sviluppi da calcio da fermo: per i saltatori granata, il pericolo è sempre dietro l’angolo.

GESTIONE DELLA PARTITA – I dodici punti raccolti su altrettanti incontri non danno una classifica drammatica, ma nemmeno esaltante. Eppure, innumerevoli sono state le occasioni ( i gol si segnano, eccome) in cui il Toro poteva portare a casa l’intera posta in palio e rimpinguare notevolmente la propria posizione. Se col Milan il 2-2 finale è stato frutto di un rocambolesco quanto fortuito gioco delle parti, in tanti altri incontri è mancata la mentalità da “provinciale” volta a difendere con le unghie e con i denti il vantaggio. Basti pensare agli ennesimi 2-2 contro il Verona in casa, dopo aver condotto per ben due volte, e quello in trasferta con la Sampdoria, dove Eder ha trovato al 93′ su rigore il gol della parità. Il caso emblematico fin qui dell’altalenante stagione granata è la partita di Livorno, dove genio e sregolatezza hanno divagato in lungo e in largo sull’erba del Picchi. Sopra di due reti, arrivate nei pochi minuti, i padroni di casa in piena crisi hanno presto rimesso le cose a posto e addirittura rischiato di vincerla, se Cerci non avesse trovato in extremis il penalty del 3-3.

CAMBIO DI MENTALITA’ – La sosta è arrivata probabilmente nel momento giusto. La squadra è viva, anche se la sconfitta di Cagliari ha un pò depresso l’ambiente. Sono anche arrivati dei fischi per il tecnico. In fondo, la vittoria manca da quasi due mesi, e all’ “Olimpico” addirittura da agosto. Al rientro arriverà il Catania, una squadra che, per un atteggiamento mentale sbagliato, ha iniziato in maniera orrenda il proprio torneo. Per tornare grandi, serve sentirsi piccoli. Il caldo pubblico granata capirà, e apprezzerà. Per trovare la giusta dimensione, la stagione può ancora essere quella giusta.

Manlio Mattaccini

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