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Arte&Cultura

Balthus: figlio di molti secoli, pittore senza tempo

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Balthus, autoritratto
Balthus

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Scrivere un articolo su un pittore come Balthazar Michel Klossowski de Rola, meglio noto come Balthus, è impresa abbastanza difficile, dal momento che di lui si può dire tutto e niente. Balthus non amava parlare di sé, non amava le interviste, né essere fotografato. Preferiva vivere lontano dalla critica, lontano dalla stampa, lontano dal mondo, lontano da tutti. Balthus era un uomo solitario, schivo, come solitari e schivi sanno essere i gatti, gli animali che lui ha molto amato.

VIVERE FUORI DALLA STORIA – Balthus era un uomo che amava vivere fuori dal tempo, fuori dalla storia: era un uomo che viveva di solo sogno. Il pittore così scriverà nel 2000, un anno prima di morire: «L’atelier è il luogo del lavoro, e anche della fatica. Il luogo del mestiere. Nella mia attività è essenziale. È lì che mi raccolgo, come in un luogo di illuminazione. […] bisognerebbe dire ai pittori di oggi che tutto si gioca nell’atelier. Nella lentezza del suo tempo. Amo le ore trascorse a guardare la tela, a meditare davanti a essa. A contemplarla. Ore incomparabili nel loro silenzio. D’inverno, la grossa stufa borbotta. Rumori familiari dell’atelier. I pigmenti mescolati da Setsuko, lo strofinio del pennello sulla tela, tutto viene riassorbito dal silenzio: prepara all’entrata delle forme sulla tela nel loro segreto, alle modifiche spesso appena abbozzate che fanno fluttuare il soggetto del quadro verso qualcos’altro di illimitato, di sconosciuto».

FIGLIO DI MOLTI SECOLI – Balthus non apparteneva al XX secolo, non voleva appartenere al suo tempo. «Io sono figlio di molti secoli. Non di questo. Non ho niente a che fare con questo secolo. Sono fuori. Sono di un altro mondo», dichiarerà in un’intervista. E infatti Balthazar viveva come un uomo del Medioevo, un uomo del XII secolo. «Non appartengo a quest’epoca. Mi rifiuto di appartenerle. Credo che la mia visione del mondo sia quella del XII secolo».

Viveva appartato nei suoi castelli, nelle sue ville, esattamente come un monaco nel suo monastero. Ma amava la vita, la bellezza, le donne, la solitudine, vivendo tra lusso, calma e voluttà. Ha abitato nel “Grand Chalet” a Rossinère, cantone del Vaud sopra Montreux; ha abitato a Villa Medici a Roma; ha abitato a Ginevra, a Berna, a Parigi; ha viaggiato tantissimo, e alle volte in compagnia dell’amatissimo Rainer Maria Rilke, amico della madre.

Scrive Giorgio Soavi: «Balthus sta nella storia dell’arte per conto suo. Così com’è vissuto. In posti famosi come Parigi, Roma; o diventati più famosi quando ha deciso di viverci, come Chassy nel Morvan, come Monte Calvello, o come Rossinère, poco prima di Gataad, dove ha abitato in palazzi, castelli, o in grandi chalet, come se l’unico abitante sulla terra fosse lui. La sua avventura terrena è stata tutta speciale. Niente che gli somigli può essergli accostato perché la petite bande della quale Balthus fa parte ha sempre avuto un primo attore: lui stesso».

LO STILITA BALTHUS – Balthazar Klossowski de Rola è, nella vita così come nella storia dell’arte, uno stilita. Troppo distinto, troppo originale, troppo intellettuale, tanto da non poter essere in nessun modo inserito in nessuna delle correnti artistiche novecentesche. Ha sfiorato il surrealismo, quello descritto e teorizzato dall’amico Antonin Artaud, ma si è sentito sempre molto vicino a Piero della Francesca, a Masaccio, cioè ai pittori del Quattrocento italiano. Infatti nelle sue tele riconosciamo la stessa luce, la stessa geometria, la stessa sospensione temporale che ritroviamo, sovente, nelle opere dei grandi maestri italiani del Rinascimento. Troppo forte è stato l’influsso di Piero della Francesca in Balthazar, e ciò lo dimostra un quadro come La Rue (La strada) del 1933, oggi conservato a New York al Museum of Modern Art; o un quadro come Les Enfants Blanchard (1937), o La Chambre (1947-1948), o La Partie de cartes (1948-1950). Stessa luce, stessa atmosfera, stessa sacralità, stessa costruzione spaziale di Piero della Francesca.  Nei quadri di Balthus si avverte una calma assoluta, una estrema fissità; e non accade mai niente, perché il tempo è assente.

La chambre

La chambre

In un’opera come La Chambre del 1952-1954 vediamo una ragazza nuda distesa su un lettino che ricorda quello degli psicanalisti, immersa nel sonno o addirittura nella morte; sulla destra, una figura femminile solleva la tenda di una finestra per fare entrare nella stanza la luce del giorno; in secondo piano, un tavolo su cui, nella penombra, siede un gatto misterioso. Quel gatto è Balthus stesso.

Pierre Klossowski, fratello di Balthazar, descrive questo quadro in questi termini: «La luce del giorno bagna la vittima distesa, abbandonata su una poltrona; che si tratti dell’orgasmo conseguente a una violenza? O forse nulla è accaduto. Il quadro sembra collocarsi su quel limite dove il ‘non accaduto’ e l’‘irripetibile’ si reggono in perfetto equilibrio. Il gesto deciso del personaggio che solleva la tenda fissa in una sorta di infinita reiterazione il delitto di cui il gatto sul tavolo è stato l’unico testimone: l’animale (che appartiene  alla stessa stirpe del nano in gonna) segue con aria vagamente esterrefatta il gesto con cui la comparsa illumina la scena. Quali saranno le conseguenze del suo gesto rivelatore se non un magnifico quadro?». Il quadro non ha un vero significato, non ha un senso. Tutto ha un non so che di onirico. Ed è anche per questo che su Balthus si può scrivere tanto ma anche nulla.

LA MOSTRA – E’ aperta fino al 12 gennaio 2014 al Metropolitan Museum  of Art di  New York una mostra dedicata a Balthus dal titolo Balthus. Cats and girls. Paintings and Provocations.  L’esposizione raduna opere del periodo compreso tra 1935 e il 1955 raffiguranti gatti e giovani ragazze.  Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo al sito della mostra: http://www.metmuseum.org/exhibitions/listings/2013/balthus

Michele Lasala

 

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