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Dario Cecchini, l’amico della Gazza Golosa

“Ma che bontà, ma che bontà, ma che gustino questa robina qua” – cantava Mina – “Vitello delle Ande? No? Bovino della Gallura? No?”… “Ma che cosa sarà mai questa robina qua? – si chiedeva infine la grandissima Baby Gate prima di azzardare l’ipotesi più temuta – “Cacca?” . No, cara Mina, ma ci siamo vicini: si tratta di budella, infatti, appetitose viscere di maiale appena squartato per la gioia dei buongustai dalle mani esperte di Dario Cecchini, il “macellaio-filosofo che fa lezioni al mondo sulle interiora” (titola compiaciuta la Gazzetta dello Sport) e pontifica sui massimi sistemi accanto al cadavere della vittima prescelta per il suggestivo “sacrificio” al dio Palato. Niente di nuovo, in fondo: qualcosa del genere la facevano già millenni fa i sacerdoti Maya, e anche loro raccoglievano parecchi consensi. Però i tempi cambiano, e oggi la cornice ideale di rituali così solenni non è più la tenebrosa cima della piramide in mezzo alla giungla ma il rutilante palcoscenico del MAD di Copenaghen, il convegno di grandi chef ed esperti enogastronomici provenienti da ogni parte del globo che quest’anno è stato aperto proprio dal nerboruto “filosofo” di Panzano in Chianti, unico italiano invitato a partecipare a cotanto simposio.

Il filosofo-macellaio Dario Cecchini
A TU PER TU CON LA TRIPPA – Circondati da una società dei consumi così frivola e superficiale, sentivamo tutti – diciamolo! – l’esigenza del salumiere-guida spirituale o del commercialista-maître à penser, di qualcuno, insomma, che fosse capace di farci pensare mentre incarta la ricotta o di farci intravedere il senso della vita fra le righe di un modello 740. Salutiamo quindi con giubilo (e un sospiro di sollievo) la venuta del macellaio-filosofo e delle sue dotte meditazioni sulla precarietà della vita suina, un emozionante viaggio fra esigenze dello Spirito e l’insondabile mistero delle frattaglie: “Si possiede solo quello che si regala” – ecco le sue prime, illuminanti parole – “Per me è arrivato il momento di liberarmi del peso della conoscenza”. Ed è così, indossando i panni del mestiere e maneggiandone i ferri con sorprendente abilità, che Dario incanta la platea del MAD rivelando i segreti di un’arte tramandata da otto generazioni di Cecchini e parlando a ruota libera “di vita e di morte” – scrive la Gazza Golosa – e “di industria della carne contrapposta all’artigianalità dei macellai. Il tutto di fianco al cadavere appeso di un maiale da cui toglie, un pezzo alla volta, gli organi. “Ci vogliono rispetto e responsabilità per uccidere un animale” ci spiega, mentre parliamo della sua performance. “Noi macellai siamo un anello di congiunzione delicato”.
LA PRESA PER IL CULATELLO – Passino gli operatori ecologici, i non udenti e i diversamente abili, ma i beccai come delicati anelli di congiunzione no, questo è troppo. E va bene che viviamo in un mondo in cui i cabarettisti diventano subito scrittori e i cacciatori si descrivono come amanti della natura, però c’è un limite a tutto, oltrepassato il quale la Ragione si addormenta e genera macellai-filosofi. Succede così che basti poco, anche solo un piccolo anello di congiunzione tra il serio e il faceto, per cestinare millenni di evoluzione del pensiero: ci vogliono rispetto e responsabilità per uccidere un animale? Per non ucciderlo semmai, ma che volete, queste sono distinzioni da sofista, quisquilie bioetiche da preparare ai ferri insieme a cotenna e rognoni. “Trovo estremamente decadente prendere la trippa d’agnello e spolverarla di liquirizia per stupire i commensali. E’ un tipo di ristorazione che non è la mia. Io voglio proporre cibo vero”: ecco la Summa della Nouvelle Philosophie di Dario Cecchini (nomen omen dicevano i saggi), un uomo che si eccita soppesando una cistifellea ma al tempo stesso predica la tolleranza. Tra i diversi menu proposti nel suo ristorante, infatti, c’è anche quello dedicato ai vegani: ”Li rispetto e li capisco. La loro è una reazione comprensibile al consumismo imperante, a un mondo dell’alimentare che si imbelletta con parole come biologico, ma poi continua a puntare solo all’arricchimento”.
Una clamorosa presa per il culatello, insomma, un oltraggio al buon senso (e al buon gusto) che fortunatamente non resterà impunito. Nel nostro Paese, infatti, il numero dei veg aumenta a vista d’occhio, ma la comprensibile reazione al consumismo imperante c’entra ben poco. E’ il sogno di un mondo de-cecchinizzato (come direbbe Maroni) la vera ragione, è questo che spinge moltissimi italiani a rinunciare per sempre a prosciutto e fettina. Sei milioni? Sette milioni? Nessuno conosce il numero preciso dei connazionali veg, ma ora, grazie alla Gazza Golosa e alle sue golosissime fotografie, la cifra si è sicuramente impennata.
Enrico Steidler
