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Katidis, saluto nazista: radiato a vita in nazionale, stagione finita nel club
Pubblicato
8 anni fa|
Editor
Enrico Steidler

Georgos Katidis
ATENE, 20 MARZO – In Grecia non si scherza: dopo essere stato ““escluso a vita da tutte le selezioni nazionali” per aver “offeso profondamente le vittime del nazismo e violato i valori del calcio”, Georgos Katidis – 20 anni, centrocampista dell’AEK Atene – è stato messo fuori squadra dal suo club fino alla fine della stagione, quando (sulla base della condotta tenuta nel frattempo dal giocatore) verrà valutata la possibilità di “reintegrarlo nella rosa”. A nulla sono valse le scuse che Katidis ha pubblicato su Twitter (“Non sono razzista, in nessun modo. Odio il fascismo. Non l’avrei mai fatto se avessi saputo che quel gesto significa una cosa del genere”): censurato con estrema durezza da quasi tutti i giornali del suo Paese, il giocatore è stato messo all’indice anche dai suoi stessi tifosi (“il tuo gesto ridicolo e insignificante non può essere perdonato in alcun modo”).
“CONDANNA CATEGORICA” – Questo merita, secondo la Federazione greca, il gesto (prolungato e rivolto verso la curva, notoriamente schierata a sinistra) con il quale Katidis ha festeggiato il suo gol decisivo per la vittoria (2 a 1) contro il Veria in campionato: la decisione di radiarlo a vita da ogni rappresentativa nazionale è stata presa all’unanimità, e difficilmente – a quanto pare – potrà essere rivista in futuro. Da rilevare, al riguardo, che il durissimo provvedimento colpisce uno dei giovani più promettenti del calcio ellenico: già pilastro della Nazionale under 17 (8 partite e 2 gol), Katidis furoreggia con la maglia dell’under 19 (9 reti in 30 partite, secondo miglior marcatore – con 3 gol in 4 incontri – dell’Europeo dello scorso anno perso in finale contro la Spagna), e si guadagna con pieno merito la convocazione nell’under 21, con la quale debutta il 15 agosto 2012. Le premesse di una brillantissima carriera (e la concreta prospettiva di dare un grosso contributo alle future glorie del calcio greco) non hanno però alcuna importanza agli occhi della commissione disciplinare della Federazione, forse anche condizionata (in un Paese lacerato da mille tensioni e in cui è ancora molto doloroso il ricordo della dittatura dei colonnelli) dal crescente consenso elettorale guadagnato da “Alba Dorata” (partito politico di estrema destra – “nazionalista” lo definisce il suo leader, Nikólaos Michaloliákos – che gli analisti internazionali considerano un movimento neonazista tout-court) e quindi fortemente motivata a dare un segnale di incontrovertibile chiarezza sull’intangibilità dei valori democratici ai quali si ispira (e sui quali si fonda) la società greca di oggi.
LE SCUSE DEL GIOCATORE – Meno drastica la posizione del suo club, che ha deciso di sospenderlo almeno fino a giugno. Comprensibilmente disperato il giocatore, che cerca (maldestramente) di spiegare il suo gesto: le contraddizioni in cui cade (un gesto non può essere privo di significato e al tempo stesso ispirato ad Alba Dorata e dedicato a chicchessia), però, complicano tutto e ne amplificano le conseguenze: “Conosco la storia dell’AEK. So che è una squadra di rifugiati. Ho dedicato il goal a Michàlis Pavlìs e in nessun modo sono un razzista. Non sono razzista, in nessun modo. Odio il fascismo. Non l’avrei mai fatto se avessi saputo che quel gesto significa una cosa del genere. Conosco le conseguenze e non l’avrei mai fatto. Ho festeggiato in questo modo perché volevo che la gente ci aiutasse di più. Per me non vuol dire niente. E’ stato un festeggiamento che ricorda Alba Dorata, l’ho fatto per far festeggiare la gente in modo più intenso, insieme a noi… Avevo bisogno di un goal. Lo desideravo tanto, perché quello che sta succedendo in queste ultime partite non ci aiuta… Dedico il goal a Michàlis Pavlìs che sta attraversando un periodo difficile ed è una persona a me cara, che non voglio dire chi è”.
NESSUNA PIETA’ DAI SUOI TIFOSI – La replica di Original 21, il gruppo che raccoglie i sostenitori più accesi dell’AEK, non si fa attendere e suona come una sentenza inappellabile: “Che eri semplicemente un ridicolo, un esibizionista con la frangetta e i disegni sul corpo, di un’immaturità inferiore perfino alle tue stesse credenze, lo potevamo tollerare… e con la nostra buona volontà lo scusavamo. Ma salutare in modo fascista, ridicolo insignificante, non si può perdonare in nessun modo! Tremano le ossa dei nostri antenati, della nostra stessa storia, dei rifugiati e dei nostri valori antifascisti! Alla fine vali poco come giocatore e come persona! Ormai sei indesiderato e ricercato tra di noi! Le tue lacrime non ci convincono… lo stesso vale anche per le tue scuse! I membri dei “battaglioni di sicurezza” , i collaborazionisti, cioè tutti quelli che prima di te hanno salutato nello stesso modo, avevano anche loro delle scuse. La storia non li dimentica! Noi, la grande famiglia dell’AEK, del rifugio e dei valori umani, non dimenticheremo mai!”.
IN AEK STAT VIRTUS – La vicenda di Katidis è molto significativa, e dovrebbe far riflettere in un Paese (il nostro, che il fascismo lo ha inventato ed esportato sulla punta delle baionette) nel quale Paolo Di Canio si guadagnò le prime pagine dei giornali per aver fatto lo stesso gesto: ricordate? Era il 2005 e Di Canio, che allora militava nella Lazio, si esibì nel saluto romano in ben quattro circostanze (nel derby e contro Siena, Livorno – la cui tifoseria è di estrema sinistra – e Juventus). Risultato? Una giornata di squalifica e 20mila euro di multa. Certo, non è bello constatare per l’ennesima volta che ciò che altrove porta a condanne esemplari qui da noi finisce a tarallucci e vino. E tuttavia, se l’eccessiva clemenza nei confronti di un uomo di 37 anni (Di Canio è del ’68) è ben poco lodevole e la dice lunga sui più inestirpabili difetti degli italiani (fra i quali una scarsa confidenza con la serietà), la severità mostrata nella stessa circostanza dalla Federazione greca verso un ventenne (pur inquadrandola nel suo particolare, difficile contesto) non può essere condivisa. Molto più ragionevole in tal senso, e proporzionata al fatto, è la decisione presa dal club: in un calcio sempre più inquinato dalla politica e percorso dai fantasmi di vecchi conflitti (vedi il caso Benzema e gli strascichi della lotta algerina per l’indipendenza dalla Francia) e di più recenti barbarie (vedi l’imminente Serbia-Croazia e il ricordo ancora vivissimo e straziante della guerra civile jugoslava), la durezza con cui è necessario contrastare ogni episodio di intolleranza e di fanatismo non può diventare sinonimo di limitata umanità. E se un uomo deve essere considerato pienamente consapevole e responsabile dei suoi gesti, a un ragazzo va offerta una seconda possibilità.
Enrico Steidler
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