Champions League
Champions: Il “Clasico” resta a casa. Le ragioni di una disfatta

MADRID, 26 APRILE – All’origine dell’ edizione 2011/2012 di questa Champions solo una ragione sembrava potesse impedire Barca e Real di giocarsi la finale dell’Allianz Arena, ovvero che il sorteggio, come accaduto la scorsa stagione, li opponesse prima. Ma quando il quadro delle semifinali è stato completato, è sembrato di aver assistito in questi mesi ad un film di cui avevamo già indovinato il finale. Un finale tutto spagnolo, galattico. E invece arriva la sorpresa che non ti aspetti, per non dire due.
REAL: POCO CORAGGIO, DAI 120 MINUTI AI RIGORI FINALI.
Quando un’eliminazione arriva ai rigori può essere ingiusto trarre giudizi affrettati e assoluti.E’ una lotteria, e come tale va vissuta, qualunque sia l’ esito. Ma il Real ha fatto tutto il possibile per non arrivare a un esito tanto imprevedibile? La partenza rabbiosa, l’1-2 in pochi minuti direbbe di si. In realtà sia l’andata che il ritorno premiano il maggior coraggio e la grande personalità dei bavaresi, capaci di ripetere al ritorno la prestazione di carattere della gara di casa. Un Real più attento a non prenderle che a far male, soprattutto dopo la rete di Robben su rigore. La paura in questi casi difficilmente viene premiata, e così è stato, anche se in un modo crudele come quello dei rigori. Poteva essere la grande occasione per lo Special One di entrare nella storia e spazzare via l’ombra del Barca quale regina d’ Europa e del Mondo, dovrà accontentarsi, anche se non è poco, della Liga.
BARCA: POCA CONCRETEZZA, TRE GOL SU TRE TIRI CONCESSI: DIFESA DA RIVEDERE.
Se per la squadra di Mou il problema è da ricercarsi nel poco coraggio ed eccessiva prudenza, a Guardiola viene imputato esattamente l’opposto. Il Chelsea non fa mai male, tranne quando attacca. Tre volte ha tirato in porta, altrettante ha segnato. Se ciò serve da parziale giustificazione, accende soprattutto un campanello d’ allarme su un’organizzazione difensiva alle volte presuntuosa e superficiale, forte di una squadra a cui servono pochi uomini per difendere, un centrocampista come centrale arretrato preferito a chi di ruolo come Pique, una difesa costantemente sulla linea di centrocampo esposta a pericolosi contropiedi, ed un portiere non all’ altezza del Barcellona. Probabilmente è stata solo sfortuna, direbbero i tifosi blaugrana, Messi che sbaglia un rigore, le porte avversarie che sembrano più piccole a furia di prendere pali e traverse, gol divorati dinnanzi al portiere soprattutto nella gara di Londra. Il numero dieci argentino non ha mai segnato al Chelsea in 8 partite, così come non era mai finito sul tabellino contro le squadre allenate da Mourinho prima del suo arrivo in Spagna. Volendo analizzare questo dato si può trarre una conclusione: contro squadre preparate, difensivamente e tatticamente, anche in dieci, come accaduto martedi o 2 anni fa nell’impresa dell’Inter al Camp Nou, anche per il giocatore più forte del mondo, da 242 gol in carriera, diventa difficile far male. Col Milan ha segnato solo su rigore, tutti indizi che non faranno una prova, ma che in Spagna le difese siano imbarazzanti e che esistano solo due squadre è risaputo. Cosa farà Guardiola non è dato sapersi, se è finito un ciclo lo dirà la prossima stagione, per questa si torna a casa con uno “zeru tituli” sulle spalle. Con buona pace di chi sognava il “Clasico”.
Orazio Rotunno
