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Il destino di Manu Kone
Il posto dove vivi segna chi sei e, in qualche modo, cosa farai. Un mio amico, a Londra, vive in un appartamento che si affaccia su un grande snodo ferroviario. Il figlio guarda tutti i giorni i treni passare, li saluta, conosce gli orari. Dice che da grande vorrà fare il capotreno.
La casa di Manu Kone, a Parigi, si affacciava proprio sullo Stade de France, lo stadio più grande del paese, lo stadio della nazionale. Insieme a mamma e papà, Alexandre e Therese, e ai suoi cinque fratelli, il ragazzino si affacciava dal balcone. Guardava la gente andare allo stadio, sentiva i cori, distingueva le urla di gioia da quelle di dolore. Sentiva il rumore del pallone. “Mi implorava di portarlo in strada a giocare – racconta la sorella Vanessa – aveva sempre un pallone con sé”. Il posto dove vivi è un po’ un segno del destino. E Manu Kone, quel destino, se lo sta prendendo.
Le idee chiare di Manu Kone
“Iniziò a giocare in una squadra di quartiere a Villeneuve-la-Garenne, l’AVGFC. Dopo un po’ ci chiamò, ci disse che voleva diventare un calciatore e che dovevamo aiutarlo”. Raccontano così i fratelli maggiori Stéphane ed Hermann. In quegli anni Koné si è iscritto al college “Georges Rouault”, che aveva una sezione di studi sportivi, e inizia a giocare per il Paris FC. “Si alzava tutti i giorni alle 5:45 per prendere lo scuolabus, poi nel pomeriggio si allenava per la squadra della sua scuola. Terminate le lezioni andava ad allenarsi con il PFC, tornava a casa alle 21:30 per mangiare, fare i compiti e dormire”.
Sono gli anni di formazione, quelli in cui Kone si ispira a Serge Aurier e in cui inizia a stupire i suoi allenatori. “Mi sentivo come se stessi mettendo in campo un senior – ha raccontato Hamid Amaghar, ai tempi allenatore dell’Under11 del Tolosa – Era capace di estendersi dalla nostra area a quella avversaria, sinistro, destro e in più dava istruzioni anche agli altri. Voleva capire il sistema di gioco, faceva domande molto intelligenti”.
Forza fisica e intelligenza, quello che serve alla Roma
L’origine ivoriana di Kone è tutta nel nome. Kouadio, infatti, viene dall’Africa Occidentale, nello specifico dall’etnia Akan, dove i nomi si scelgono con cura, con precisione. Devono riflettere le caratteristiche e i valori che si desiderano per il bambino. Il significato cambia da regione a regione, ma fa riferimento alla forza, al coraggio, all’intraprendenza.
Quella che si è vista a Tolosa, dove è rimasto per 3 anni collezionando quasi 60 presenze e 6 reti. Quella che si è vista in Germania, al Borussia Monchengladbach, dove si è conquistato anche la convocazione nella nazionale francese maggiore. Quella che si è vista nei pochissimi minuti, i primi, con la maglia della Roma, a Torino, contro la Juventus. Forza fisica, intelligenza tattica, capacità di alzare la testa, di fare la cosa giusta.
Quello che mancava alla squadra di De Rossi. La nuova squadra del destino di Kone.