La Caduta degli Dei
Memorie di Adriano, breve storia di un Imperatore decaduto
Il mio fine settimana è stato, come sempre, monotematico. Scorpacciata di calcio domenicale, un sabato sera davanti prima a Monza Roma e poi a Torino Fiorentina. Nel mentre, sul cellulare, facevo su e giù sui social. Un po’ di notizie, qualche post, due foto, dei video. Quello che cattura la mia attenzione propone un mix letale: Adriano che canta “Sere Nere” di Tiziano Ferro.
Non è recente, a guardare bene è almeno di tre anni fa, eppure quel video mi disturba. Mi stupisce, non mi diverte. Adriano sembra felice, è su un balcone vista oceano, sul tavolo c’è un bel bicchiere di vino bianco. E lui canta, felice. Felice come quando giocava a calcio.
Gli anni d’oro dell’Imperatore
È il 2006, l’anno che avrebbe portato l’Italia sul tetto del mondo. Non lo sapevamo ancora quando, tra le mani, stringevamo l’ultima uscita di Pro Evolution Soccer, arrivato al sesto capitolo. In copertina, insieme al bomber Luca Toni, c’era lui: Adriano. L’anno prima, con la maglia dell’Inter, aveva messo a segno 19 gol in 47 partite. Quello prima ancora 28 centri in 42 incontri. Sono gli anni dell’Imperatore, di calciatore che sembra venuto da un altro pianeta per tecnica e potenza, per fantasia e struttura corporea. Sono gli anni del coro della Nord interista: “Che confusione, sarà perché tifiamo, un giocatore che tira bombe a mano, siam tutti in piedi per questo brasiliano, batti le mani, che in campo c’è Adriano”.
Sono anni, dopo l’esplosione a Firenze e a Parma, che non torneranno più. Ma il brasiliano non poteva saperlo. E in fondo neanche noi.
L’inizio del declino
Qualcosa aveva iniziato a incrinarsi nel cuore e soprattutto nella mente di Adriano quando, nell’estate del 2004, se n’era andato il papà. Un infarto, ufficialmente, con lo spettro della depressione e dell’alcolismo che aleggiavano su quella triste notizia. L’attaccante da quel momento non è più lo stesso. Sente la mancanza del Brasile, inizia la saudade. Per questo nel 2009 torna a casa, al Flamengo, prima che la Roma di Rosella Sensi decida di puntare di nuovo su di lui.
È l’estate del 2010. Tra le migliaia di tifosi giallorossi che riempiono lo Stadio Flaminio, affittato per l’occasione, ci sono anche io. Ricordo ancora la maglietta: “Ave Imperatore, Roma te salutat”. Ricordo ancora l’attesa, il caldo, la voglia di crederci. Ricordo ancora l’entrata in campo di Adriano, con la storica sciarpetta “Mo te gonfio” diventata presto una base meme. L’attaccante era appesantito, fuori forma, non riusciva a calciare il pallone verso la curva. Quell’anno furono 5 presenze, ovviamente neanche una rete.
Da lì iniziò una discesa sempre più forte. Corinthians 1 gol in 4 partite. Flamengo nel 2014, senza mai scendere in campo. L’Atletico Paranaense, nel 2014, quando viene licenziato per aver disertato gli allenamenti, preferendo i locali notturni. Poi una sola partita con il Miami United, quarta serie del campionato statunitense. Prima di appendere gli scarpini al chiodo, nel 2016. L’ultima sua apparizione, qualche settimana fa, al carnevale di San Paolo, quando viene incoronato durante la sfilata della scuola di samba “Camisa Verde e Branco”. C’è Adriano che sale sul carro, una corona in testa, il sorriso sulle labbra. Sembra felice. Felice come quando giocava a calcio.