La Opinión
Atalanta e Napoli, chi esce e chi entra. Analogie e differenze di Milano, la Juve è sempre la Juve
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3 settimane fa|

Se c’è un assunto che abbiamo ricavato dalla gara tra Atalanta e Napoli, semifinale di Coppa Italia, è che i destini di alcuni progetti tecnici sono come porte girevoli. E così, mentre l’Atalanta entra nel circolo delle grandi e si siede ai tavoli d’elite, il Napoli – così glorioso negli ultimi dieci anni – sembra uscirne di scena. A furor di popolo Gattuso sarà esonerato e individuato come l’artefice dei mali, ma i problemi sono ben più radicati e nascono da chi compie le scelte.
Ieri a Gattuso è stata concessa l’attenuante delle assenze. Esordivano, insieme, in coppia, Maksimovic e Rrahmani. Terza e quarta scelta, ma può davvero considerarsi un’attenuante? In due sono costati 40 milioni e il kosovaro, per sua ammissione, era stato acquistato in funzione di una cessione di Koulibaly, saltata solo perché il covid-19 ha cambiato la gerarchia del mercato.
🔄 Le differenze tra me e te
I problemi del Napoli nascono nella cattiva gestione del ringiovanimento della rosa: finita una generazione, i sostituti non sono stati all’altezza e oggi mancano i trascinatori. Com’è possibile, se la rosa degli azzurri è costata 353,4 milioni? Se Lobotka, quarta scelta, e Elmas, oggetto misterioso, sono costati 36 milioni in due? L’Atalanta ha costruito con 138,67 milioni, ma ha costruito con criterio.
Ha individuato le caratteristiche necessarie al progetto tecnico, confermando fiducia nel lungo percorso a Gasperini, ha saputo sostituire i partenti seguendo la linea della continuità, oltre ad uno scouting di livello ed una dirigenza forte. E ha saputo prendere decisioni forti, fortissime, sacrificando il capitano in nome del progetto. Al Napoli improvvisazione e decisioni prese sul momento, pessima gestione contrattuale e l’impressione che il mercato venga fatto fiutando l’occasione e non rispondendo a determinate necessità.
⚫ Pirlo? Più Nedo Sonetti e meno Guardiola
La linea che segue la Juventus, che pur commettendo qualche errore progettuale e andando incontro a cambiamenti radicali, sopperisce con una cultura del lavoro e la mentalità di “stare sempre sul pezzo”, di non accontentarsi mai. Anche se a volte si cade in scene francamente rivedibili, come quella tra Conte e Agnelli. Però i risultati sono dalla parte di Pirlo e dei suoi: un gruppo che sembrava stagionato, un’idea che sembrava non attecchire, una squadra che invece s’è saputa reinventare facendo di necessità virtù. Più Nedo Sonetti e meno Guardiola, ma Pirlo ha ragione: ha una Champions da giocarsi, una finale di Coppa Italia, una Supercoppa già in tasca ed è rientrato nella corsa scudetto. Nell’ottica di un ricambio forte, mica male.
🔵 La spada di Damocle dell’Inter
L’Inter ha invece una spada di Damocle che pende sulla testa di Conte: l’etichetta di mr. 12 milioni pesa ancora di più in tempi di crisi e di eliminazioni. Resta solo il campionato: se la sua Inter lo vincerà, sarà un trionfo epocale; se lo perderà, sarà un vero fallimento, il secondo anno senza coppe e due eliminazioni già incassate a febbraio. Le premesse – sempre per i motivi economici di cui sopra – per una separazione. Nella Milano rossonera se la passano meglio: arrivare fino in fondo è ancora impresa non da poco, ma non avere l’obbligo di vincere è in realtà un carburante potente.
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