Ciclismo
Quando la vittoria si decide a tavolino: la tripletta della Mapei alla Parigi-Roubaix 1996
Gli appassionati di ciclismo quest’anno vivono una primavera senza Parigi-Roubaix. La regina della classiche, l’inferno del nord, l’evento più atteso da tutti coloro che amano la polvere e il fango delle pietre dovrà trovare una nuova collocazione nel calendario a causa del coronavirus. E a chi ama le due ruote non resta che ricordare le grandi imprese del passato: il dominio belga degli anni ’70, la tripletta di Francesco Moser, i successi dell’indimenticato Franco Ballerini e le più recenti sfide tra Fabian Cancellara e Tom Boonen. Senza dimenticare quella volta in cui uno degli eventi sportivi più iconici fu deciso a tavolino. Con dinamiche che, ad oggi, non sono ancora del tutto chiare.
Il trionfo della Mapei
Era il 1996, e alla partenza della Parigi-Roubaix la Mapei si presentava con una corazzata. La formazione italiana poteva contare sul vincitore uscente Franco Ballerini, ma anche su almeno altri quattro dei dieci favoriti della vigilia. Che il team sarebbe stato protagonista divenne chiaro fin dalle prime fasi calde della corsa: quando sul terzo settore di pavé si formò la prima azione interessante dopo la fuga di giornata, due dei cinque attaccanti erano della squadra diretta da Patrick Lefevere. E la foresta di Arenberg non era ancora iniziata. Quando dopo 164 chilometri rimasero davanti una ventina di corridori, ben cinque portavano la maglia della Mapei. Ballerini, non certo nella sua edizione più fortunata, forò tre volte nell’arco di una decina di chilometri, mentre davanti i suoi compagni di squadra producevano un forcing importante. A undici settori di pavé dalla fine rimanevano tre uomini al comando: due italiani, Gianluca Bortolami e Andrea Tafi, e un belga, Johan Museeuw. Tutti della Mapei.
Quando alle loro spalle Stefano Zanini, della Gewiss, e un indomito Ballerini, staccarono gli altri inseguitori riportandosi a meno di un minuto dalla testa, l’ammiraglia impose al campione uscente l’ordine di non tirare più. Normale dinamica di corsa, e il successo della Mapei fu definitivamente messo in ghiaccio. Il trio di testa proseguì insieme fino al velodromo di Roubaix, aspettando Museeuw quando questo forò. Prima, però, le telecamere non si persero le accese discussioni tra i tre componenti del gruppetto di testa. E una frase non passò inosservata al pubblico: “Andrea, non fare cazzate”. A pronunciarla Gianluca Bortolami, che quasi preannunciava l’assenza di uno sprint per la vittoria finale. Così fu: Museeuw vinse senza fare volata proprio davanti a Bortolami, con Tafi terzo. Tutti con le braccia alzate e un sorriso che forse, per alcuni, era forzato. E per Ballerini, quinto, magari ancora più amaro.
Ordini di scuderia
Chi decise l’ordine di arrivo di quella gara? Il dibattito è ancora aperto. È accertato che durante le fasi finali della corsa il direttore sportivo Patrick Lefevere ricevette una telefonata da Giorgio Squinzi, proprietario della Mapei, main sponsor della squadra. Di fatto colui che con i suoi fondi permetteva i fasti di uno dei roster più forti della storia. Cosa si dissero realmente, forse, rimarrà solo un ricordo dei due. Fatto sta che il belga dettò tramite la radiolina l’ordine d’arrivo ben prima che il terzetto entrasse al velodromo di Roubaix: primo Museeuw, secondo Bortolami, terzo Tafi. Indicazione perfettamente rispettata dai corridori.
“Squinzi voleva che i nostri arrivassero in ex aequo, ma il regolamento lo vieta” la tesi sostenuta fin da subito da Lefevere, secondo cui poi il patron avrebbe dettato l’ordine d’arrivo. Ma la risposta del numero uno della Mapei è su un’altra direzione: “Nessun ordine, ho detto solamente che avrei preferito che i tre arrivassero insieme al velodromo, per essere sicuro del risultato in una corsa così imprevedibile. Poi ognuno poteva comportarsi come voleva”. Un diktat comunque arrivò, e la volata non fu disputata. E la più grande dimostrazione di forza di squadra nella storia del ciclismo si concluse senza una volata. Decisa a tavolino, da una telefonata. Di cui, probabilmente, non sapremo mai il contenuto.