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Antonio il Conquistatore
Pubblicato
3 anni fa|
Editor
Gennaro Donnarumma
Gli è bastato veramente molto poco per ridare una spina dorsale all’Inter: chiamatelo pure Antonio il Conquistatore. Conte, nei primi mesi all’Inter, ci ha regalato già pagine per tutto l’anno. Vulcanico, come suo solito, fin dalle prime battute in nerazzurro. Ha fatto fuori Icardi e Nainggolan, ha chiesto a gran voce investimenti, ha cominciato a vincere, ha perso con la Juve, col Borussia Dortmund ed in diretta mondiale ha chiamato in causa la società. Poi è andato a Praga, è andato sotto di un gol, ha preso pali, traverse ed è inciampato nel Var. Infine ha vinto, come chi sa che è nato per farlo e che non ha molte alternative. Il Giulio Cesare delle panchine, il Re Mida del calcio italiano: quel che vede conquista, quel che tocca diventa oro. Antonio dal Salento, che venne, vide e vinse a Torino, poi a Londra, ora è pronto a farlo anche nella sempre odiata Milano nerazzurra.
Antonio il Conquistatore
La premessa è una ed è doverosa: con due innesti a gennaio, magari di qualità ed esperienza, Antonio Conte può già compiere l’ultimo passo che manca all’Inter per mettersi tra la Juve e lo scudetto. Su questo, nelle lamentele, chiamiamole così, ha sempre avuto ragione Conte. Detto ciò a Praga, una gara da no way out, ci si giocava mezza stagione. Sotto fino ai minuti finali, l’Inter ha ribaltato la situazione e chiuso i giochi. Sì, tutti elogiano Lu-La, il nuovo duo di gemelli del gol con Lukaku e Lautaro, ma cosa c’è dietro la vittoria-svolta di Praga?
La mano, la mente e l’anima di un allenatore capace soltanto di vincere. Non era facile, pali, traverse, sfortune varie e Var comprese. Un’altra Inter, un altro allenatore, si sarebbero fatti drammaticamente condizionare facendo saltare capre e cavoli. Non l’Inter, non l’Inter di Conte. Squadra dura, come il suo tecnico. E dura anche nell’impostazione, con una infermeria piena e con un Borja Valero difatti fermo da due stagioni. Il risultato è meraviglioso: prova di solidità, concretezza, determinazione. Infine la vittoria, quella di un gruppo vivo e reattivo. Il Barcellona è nel mirino, ed è anche avvisato, ma prima restano Spal e Roma sul cammino meneghino verso la rivoluzione completa. Che può arrivare, ed essere decisiva, fin da subito. Infine la chiamata alle armi, altro gesto di indubbia personalità: servirà, contro il Barcellona e non solo, un San Siro stracolmo. In tutto questo “poco”, e scusate se è poco, c’è tutto il misticismo di un allenatore capace solo di fare una cosa: conquistare, vincere.
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