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Sarri-dubbio, tra ideologia ed ambizione chi la spunta?
Pubblicato
3 anni fa|
Editor
Gennaro Donnarumma
La Juventus ha preso Maurizio Sarri principalmente per un motivo, che è poi, da anni, sempre lo stesso: vincere la Champions League. E l’ha fatto dopo essersi resa conto che in Europa vincere soltanto non è l’unica cosa che conta. Incide, molto, anche come vinci e come costruisci il tuo percorso. Poi certo, c’entrano altre varianti, su tutte la fortuna. Le annate prendono una piega o l’altra in base ad una serie di incastri e la Juventus, dopo due finali perse ed un successo che manca da ventitré anni, è desiderosa di incastrare bene ogni tassello.
Da qui la scelta di puntare il tutto per tutto su un allenatore che dieci anni fa, in Serie C, veniva esonerato e che in A è arrivato grazie alla forza delle sue idee. A Napoli ha sfiorato l’impresa, cosa che pare davvero difficile (vedasi il naufragio dell’attuale Napoli di un certo Carlo Ancelotti). A Londra, tra mille polemiche, ha dato la sua impronta decisiva ed incisiva sull’Europa League, portando il Chelsea, anni luce lontano da City e Liverpool, al terzo posto e di nuovo in Champions. La sua Juve, però, di sarrista ha poco. Come anche il Chelsea. Da qui una serie di interrogativi.
Sarri, l’ideologia
La Juve non gioca ancora come sa Sarri che, lo sappiamo, è un uomo di ideologia. E l’ideologia parla chiaro: pressing, squadra alta, qualità, palleggio asfissiante, schemi, memoria, qualità, trame finissime di gioco. La Juve per ora ha fatto vedere qualcosa? Sì e no, a sprazzi. Ma non ancora del tutto. L’assunto di fondo è che quel modello Napoli che incantò il mondo, probabilmente resterà un esempio unico, probabilmente irripetibile. Storia e condizioni diverse, con una macchina da guerra come la Juve spesso urge far di necessità virtù. La Juve fa il giusto, ha aggiunto un pizzico di qualità al suo gioco, ma non quell’orchestra perfetta che ha contraddistinto le squadre di Sarri pre-Napoli.
Ad occhio, i sessanta minuti più sarristi della Juve restano quelli contro il Napoli: pressing, controllo totale, gol, gioco, circo. Ecco, in quella sera Max Allegri per 60′ è stato dallo psicanalista. Poi ha rivisto gran parte della sua Juve, impronta, quella, mai rinnegata dallo stesso Sarri.
Sarri, l’ambizione
Alla domanda di Luca Marchegiani sul minor pressing della sua Juve, Sarri ha risposto che una squadra non può avere sempre il controllo del territorio, pressare alta. La chiave del successo di quelle squadre sarriste è proprio il pressing. A cui Allegri aveva ovviato accettando un accontentamento di fondo per vincere. Che resta, a Torino, pur sempre l’unica cosa che conta. Il dubbio è questo: rinunciare all’idea per l’ambizione, o rinunciare all’ambizione per la fermezza dell’idea?
Si gioca tutto qui, ed è tutto qui il dubbio amletico della Juve “quasi” sarrista. Riproponiamo il quesito di un collega di Radio Marte, sempre molto lucido nelle sue analisi: riuscirà Sarri a coniugare le due cose, impresa quantomai difficile? Riuscirà, dunque, a diventare finalmente un allenatore vincente, vincitore con le sue idee, o sacrificherà le stesse in onore dell’ambizione, che lo renderebbe comunque vincente ma un vincente come un altro, nell’impoverimento intellettuale del calcio italiano?
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