La Copertina
Apologia del Contismo- I parte
Pubblicato
1 anno fa|
Editor
Gennaro Donnarumma
Il genio, stando ad una celebre massima di Jorge Valdano, ex sparring partner di Maradona, poi volto storico del Real Madrid, è colui che sa migliorare gli altri. Una definizione che calza a pennello con la straordinaria personalità di Antonio Conte che, nelle Undici virtù del leader disegnate dal sopracitato Valdano, è “l’allenatore più interessante di questa generazione“. Non lo Steve Jobs Guardiola, ma a suo modo un profeta ed un campione del mondo non lo dice così, tanto per dire. Antonio Conte è l’allenatore perfetto, senza mezzi termini.
In questa apologia, termine con cui si indica, nel gergo del mondo classico, la difesa o l’esaltazione di un personaggio, di una dottrina e di una religione, si tessono le lodi insieme di un personaggio, che è appunto Antonio Conte, di una dottrina, che è il Contismo (in tempi in cui si oscilla dal Sarrismo al Cholismo al Guardiolismo fino all’Allegrismo, n.d.r), e di una religione, il Contesimo, inteso come il culto di Antonio Conte da Lecce, ex santo juventino ed oggi (quasi) beato interista. Un allenatore che ha già scritto un pezzo di storia del calcio, da giocatore, e sta scrivendo altre memorabili pagine in questi anni, da allenatore, in Italia e all’estero.
Antonio Conte e la Juve
Parlare di Antonio Conte senza la Juve è come parlare di Chiesa senza Cristo: 570 partite in bianconero fra campo e panchina, 5 scudetti vinti da calciatore, 3 da allenatore, una Champions sollevata al cielo a Roma, più coppe e supercoppe, comprese le due italiane conquistate nel triennio da tecnico. È un pezzo di storia, un gran bel pezzo di storia. Una storia che parla chiaramente come di un rapporto di reciproca influenza: quel che la Juve ha dato a Conte è la mentalità, il livello, la voglia di vincere sempre. Perché vincere è l’unica cosa che conta. Ed Antonio, oggi, è un vincente. E vincente ci è nato, probabilmente, ma di certo l’impulso della Juve è stato determinante affinché diventasse, da probabile predestinato, un vincente.
E Antonio ha riconsegnato quanto ricevuto negli anni. Vincendo, sì, da allenatore ma mettendoci di mezzo l’etica e riportando la Juve del post Calciopoli ai fasti di un tempo in Italia. In Europa è sempre stato messo in discussione, ma probabilmente per una tendenza a snaturare il suo calcio: quando non c’è Contismo, le cose quadrano di meno.
C’è chi vorrebbe eliminare la stella dall’Allianz Stadium, già rievocata, per decisione dei tifosi, a Boniek nel 2010. Un oltraggio che Conte, così come il polacco, non merita. Perché sarebbe comunque una eliminazione che toglierebbe senso a tutte le altre stelle presenti. E anche perché non si spegne la luce solo sparandole addosso, non servirebbe. Antonio Conte è e resterà, piaccia o no, la storia della Juve degli ultimi cinquant’anni.
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