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L’ultima estate dell’Italia, tredici anni fa
Pubblicato
2 anni fa|
Editor
Gennaro Donnarumma
Sono passati esattamente tredici anni da quel 9 luglio 2006, probabilmente l’unico giorno in cui, chi vi scrive, si è sentito totalmente italiano, accomunato a tutta una nazione che in una calda notte di luglio esultava per la vittoria della Coppa del Mondo. Erano passati ventiquattro anni dall’ultima volta e no, chi vi scrive non ha mai visto altro mondiale, nemmeno quel mitologico Spagna ’82. Solo gesta narrate e trasmesse da una generazione all’altra. Nel mezzo le delusioni Mondiali del 1998 e l’indimenticabile Corea-Giappone 2002: quel rosso grida ancora vendetta. Il Mondiale 2006, per molti della mia generazione, è fondamentalmente stato una prima, consapevole volta.
Nel 2006 vinceva l’Italia ed oggi di anni ne sono passati esattamente tredici ma negli occhi di chi ha memoria quel mondiale tedesco resiste e resisterà sempre impresso bene a mente. Anche perché è stato, all’unanimità, l’ultimo fuoco dell’Italia, incapace di guardare oltre quel clamoroso trionfo e soprattutto inadatta a ripartire da quella gioia tanto grande quanto effimera. Tredici anni dopo cosa resta di quel trionfo e soprattutto, dove siamo andati?
L’ultima estate dell’Italia
È fine maggio quando scoppia lo scandalo Calciopoli che fa saltare il banco e smaschera qualche inganno e tanti, troppi inciuci. Il classico scandalo italiano che accompagna gli azzurri alla kermesse tedesca: ladri, imbroglioni, truccatori. Quanti insulti, in quei giorni in Germania. Un fallimento per molti annunciato, ma quella estate era anche un’altra estate. Era quella della generazione di Buffon, Zambrotta, Nesta, Cannavaro, dell’apparentemente disadattato e poi eroico Grosso, di Gattuso, di Pirlo e Camoranesi, di un giovanissimo ed ingenuo Daniele De Rossi. Di Francesco Totti, Alex Del Piero e Pippo Inzaghi.
E poi era la generazione di tanti che seppero imporsi: Marco Materazzi, Alberto Gilardino, Luca Toni. E tanti, tanti umili gregari: chiedete a Simone Barone, eternamente in attesa di una palla che non riceverà mai. Era il punto di arrivo di Marcello Lippi. Ed era, ma io all’epoca non lo sapevo, come nessuno, l’ultima estate dell’Italia. Fu trionfo, netto ed insindacabile. Tanto grande quanto poi, dopo, si sarebbe rivelato effimero. Ma quel trionfo, no, nessuno potrà mai togliercelo.
La deriva degli ultimi tredici anni dopo
Fu il punto di arrivo e la fine di una generazione d’oro capace, finalmente, di vincere. Riscattando Pasadena e Roberto Baggio, con quel rigore nel cielo californiano. Il riscatto di Francia ’98 e Corea-Giappone 2002; fu il calcio a Byron Moreno e ai ricordi di quell’esperienza che già nel 2002 poteva finire in maniera diversa. E fu l’ultimo acuto di un movimento calcistico incapace di rigenerarsi.
Oggi, tredici anni dopo, l’Italia è nelle mani di Roberto Mancini dopo la gestione Conte, breve quanto illusoria, e la pessima parentesi Ventura. Non si è rinnovato granché, praticamente una generazione di giovani è stata bruciata. A differenza di quanto fatto da Francia, Spagna e Germania, per restare in Europa, l’Italia non ha rifondato, semmai ha riciclato continuamente inciampando in un fallimento dopo l’altro. La Russia è stata un miraggio, il Qatar è una possibilità. Lorenzo Insigne, se tutto andrà bene, giocherà il primo mondiale da protagonista a più di 30 anni. Francesco Totti, classe ’76, a 30 anni vinceva, da protagonista, in Germania. Qualcosa è andato storto.
Cosa resta di quell’estate? Un trionfo innegabile, una generazione irreplicabile, le notti tedesche, le feste, il 9 luglio, Caressa e Bergomi. La testata di Zidane, sì. E Materazzi che va giù. Chi l’avrebbe mai detto che metaforicamente, con quella testata, sarebbe poi andata giù tutta Italia…
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