Storie di sport
L’infanzia di Cuadrado è stata tremenda
Pubblicato
2 anni fa|
Editor
Cristiano Corbo
Senza alcun minimo dubbio, l’infanzia di ognuno è la tappa della vita nella quale regna il gioco e la fantasia. In questa, le cose che accadono spesso sono sconosciute e da affrontare di petto, senza avere neanche il tempo di trovare un modo per metabolizzarlo, esorcizzarlo, andare avanti. E’ tutto così perfetto e così meraviglioso, molto spesso. E’ tutto così drammatico e così strano, talune volte.
Chiaro che non sia una roba simile per tutti, anzi. L’infanzia di Juan Cuadrado a tal punto casca come un esempio incredibile, purtroppo in negativo. Per diverse circostanze, il piccolo Juan deve maturare troppo in fretta, deve assimilare quanto accade, deve tener duro sullo sconosciuto e affrontare l’impensabile. Ma Juan Guillerme Cuadrado è solo una delle tante persone, sfortunatamente per lui, che non hanno avuto un’infanzia facile.
Il centrocampista colombiano è nato a Necoclì, un comune localizzato nella regione di Urabà, dove i colpi tra i gruppi paramilitari e i narcotrafficanti erano pane quotidiano. I suoi genitori, Guillermo Cuadrado e Marcela Bello, gli imponevano le regole della casa a mo’ di gioco, con il proposito di proteggere il loro unico figlio. Ogni volta che ascoltava un colpo di pistola, avrebbe dovuto nascondersi sotto il letto. Cuadrado, quando aveva appena compiuto quattro anni, facendo quello che aveva promesso, si nascondeva sotto gli stipiti del suo lettino. Terrorizzato.
Ancora una volta gli spari tornarono a suonare. Solo che stavolta erano diversi. Il suono cessò subito, ma era molto vicino. Il piccolo uscì dal suo nascondiglio e la sua vita cambiò per sempre. Per la strada giaceva il corpo di suo padre, autista di camion, vittima di quella fatale risposta dei narcos. Lui che portava bibite gassate, di mestiere.
Da quell’orribile giorno, nel quale una volta in più una guerra assurda si copriva di un’altra vittima innocente, la madre fu la sua guida e la sua protettrice. Insegno al piccolo tutto quello che c’era da dirgli, lo accudì con tutto il suo amore e tutta la sua anima. Lavorò nelle bananeras di Apartadò mentre il piccolo si divertiva calciando tutto quello che incontrava a casa della nonna.
Marcela, sua madre, decise poi di frequentare le scuole serali e Cuadrado era il suo accompagnatore, nonostante si addormentasse nel fondo della classe. Non si separavano in nessun momento. Il tifo e gli interessi per il calcio crescevano e, mentre sognava di essere come Ronaldo, sua madre si sforzava perché non abbandonasse gli studi. Juan era un bambino molto iperattivo, e non aveva modo di tornare a casa senza una macchia sulla maglia Un giorno ebbe un incidente a scuola: giocando per strada, si ruppe il tendine di Achille. E Marcela, per castigo, decise di togliergli le sue scarpe da calcio per un mese. Il colombiano riconobbe che questo fu la peggior punizione mai ricevuta.
Dopo una storia di pugni chiusi e preghiere forti, c’è stato un momento in cui Juan ha capito di avercela fatta: era il 2008, debuttava con l’Independiente di Medellin. Nel 2010, la prima in Nazionale. Nel 2012, la firma con la Fiorentina. Prima ci sono stati Lecce e Udinese. Poi la Juve, poco Chelsea, e ancora tanta Juve. Gli infortuni non l’hanno fermato e non lo fermeranno ora. Juan ha ancora tanto per cui correre.
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