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Da Motril a Napoli senza sosta: José María Callejón, la furia iberica
Non ci avrebbe creduto, sicuramente, José María Callejón Bueno, se, ai tempi della cantera del Real Madrid gli avessero detto che sarebbe arrivato in Serie A, che avrebbe superato niente di meno che Luisito Suarez, che sarebbe diventato bandiera di una squadra di cui è, da sei stagioni, pedina inamovibile. Tutto questo oggi è realtà e Callejon ha raggiunto questo in un solo modo: dimostrando il suo essere incredibilmente indispensabile in ogni scacchiere tattico. Dall’Espanyol al Real Madrid, per finire a Napoli.
José María Callejón, Florentino, Mourinho & due volte Ancelotti
Da un paese in provincia di Granada chiamato Motril, poco più di 59.000 abitanti, Callejón ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo del calcio. Nel 2002, notato dagli scout delle merengues, entra nel settore giovanile dei Galacticos e, alla fine di un lungo percorso, debutta col Real Madrid Castilla, la Primavera del Real. Nella stagione 2006-2007, la prima in Segunda Division, totalizza 4 presenze senza mai segnare. Nel 2007-2008, invece, è capocannoniere con 21 gol. Ha la stoffa del giocatore, José, ma il Real decide di cederlo: si riavvicina il ritorno di Florentino Perez, arriveranno altri “Galattici”, José firma con l’Espanyol dove, in quattro anni, totalizza 106 presenze e dodici gol. Non ha la media realizzativa del bomber, e difatti non lo è, ma è imprescindibile. Al punto che il Real Madrid, nel 2011, decide di richiamarlo alla base.
C’è José Mourinho, tutti si aspettano panchina e qualche scampolo di partita, di tanto in tanto. Ed invece, come all’Espanyol, è imprescindibile. Diventa il giocatore-jolly di Mourinho, praticamente è sempre in campo e, in 73 presenze totali realizza 17 reti e innumerevoli assist. Con l’addio dello Special One e l’arrivo di Carlo Ancelotti, Callejon capisce che anche per lui è tempo di salutare. Strano come poi il destino abbia riunito i due pochi anni dopo. Arriva la chiamata del Napoli, inizia un’altra storia. E che storia.
José María Callejón, il miglior marcatore iberico all-time in Serie A
In azzurro da sei stagioni, si è rivelato pedina fondamentale per ogni allenatore. Da Benitez, che l’ha voluto, a Sarri, che ne ha sfruttato l’immensa duttilità e capacità di leggere il gioco: in tre stagioni con il toscano alla guida Callejon è mancato solo una volta, per squalifica. Ed ha, nel tempo, superato Luis Suarez diventando, con 53 reti, il miglior marcatore iberico all-time in Serie A. Una tradizione che non annovera grandi precedenti, a parte Suarez, e che solo negli ultimi anni sta vedendo profili vari avere un ottimo impatto nel calcio italiano. Dopo Suarez e prima di Callejon, praticamente, il nulla. Con l’arrivo di Ancelotti si parla di ridimensionamento, anche di cessione. Nulla di più sbagliato.
Inamovibile anche con il grande Carlo, anzi, se vogliamo, ancor più leader ed uomo squadra, finanche capitano. I gol calano (il primo, quest’anno, in ritardo solo alla prima di ritorno, una cosa mai capitata, n.d.r). Ma tutto il resto cresce: leadership, senso dell’attaccamento alla maglia, duttilità. Difesa, attacco, centrocampo, senza differenza di modi e moduli. E sempre con la testa sulle spalle: mai un intoppo, mai un inciucio, mai un qualcosa fuori posto. Nemmeno i capelli.
Una furia iberica che è rimasta, sostanzialmente, il ragazzo di Motril che, dopo un Real Madrid-Valencia in notturna, si mise in auto per fare il vice presidente di seggio alle elezioni della sua città. All’epoca guadagnò 60 euro. Stavolta, dopo qualche anno, ha guadagnato imperitura gloria.