Storie di sport
Cengiz Under e l’oceano in un bicchiere
A Smirne, terza città turca per numero di abitanti dopo Istanbul e Ankara, il santo protettore non è un martire e nemmeno un vescovo. È un calciatore, anzi, a voler essere più precisi è un difensore. Si chiama Sait Altinordu e con la maglia della squadra che ha il suo stesso nome ha giocato più di 847 partite. Dall’esordio a 14 anni all’ultima sfida a 41.
Nel segno di Sait Altinordu
In realtà Sait non si chiamava così, ma quando nel 1934 in Turchia fu introdotta la legge sul nome di famiglia, decise di cambiarselo e prendere come cognome “il nome magico che mi lega alla vita e mi dà forza“. Il nome della sua squadra. Così quando si arriva in città, in treno, c’è la sua faccia ad attendere il visitatore. Una statua del nume tutelare della città, con in basso sei parole: “İyi birey, iyi vatandaş, iyi futbolcu“. “Buona persona, buon cittadino, buon calciatore“. Chissà quante volte lo avranno ripetuto a Cengiz Under, che proprio qui ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo del calcio. Dai campi di Buca, nella periferia est di Smirne, fino al Santiago Bernabeu, al Camp Nou, ad Anfield. Essere corretto con gli altri, con i propri diritti e doveri, con i propri compagni. Cengiz cresce così. E a 13 anni gli osservatori dell’Altinordu lo scoprono e lo portano con loro.
L’approdo a Istanbul
È qui che si forgia il suo carattere, la sua disciplina tattica: ordinato, duttile, disposto al sacrificio. Un mix letale unito alla velocità, alla tecnica da leccarsi i baffi, al sinistro incantato. Da Smirne a Istanbul sono 500 chilometri e Cengiz Under ci impiega appena due anni a farli. Arriva la chiamata del Başakşehir e non si può rifiutare. Lo strappano alla città sul Mare Egeo per 700 mila euro, per portarlo tra il Mar di Marmara e il Mar Nero. Qui alla corte di Abdullah Avcı può imparare da Emmanuel Adebayor ed Emre Belözoğlu. “Il mister fu l’unico a darmi una possibilità tra i grandi, ed è una cosa che non succede spesso in Turchia, basta guardare quanti giovani riescono effettivamente a sfondare”. Spacca le partite, decide i derby con il Besiktas. Stupisce. Ma quelli che bagnano Istanbul sono due bacini piccoli, due pozzanghere d’acqua per chi ha nel nome la brama di vaste distese di acqua. Cengiz, infatti, ha un’etimologia antica, che si mischia al greco e al turco arcaico. Per alcuni vuol dire “Oceano“, per altri “Imbattibile“. Quello che è certo è che si pronuncia come Genghiz Khan, il condottiero dei mongoli.
Alla conquista di Roma
Così dopo appena un anno nella capitale turca, Under conquista un’altra capitale, stavolta ad occidente: Roma. 13 milioni il prezzo del cartellino, di cui una buona parte finita nelle casse dell’Altinordu. “Trasferirsi all’estero è stato un vero e proprio shock. Ci sono molti più fattori coinvolti di quanto avrei immaginato. Me ne sono andato da solo, senza la famiglia, senza conoscere nessuno e senza essere in grado di comunicare con gli altri. Non riesco a spiegare quanto sia stato frustrante all’inizio”. Eppure ce l’ha fatta. Tutti volevano il “Dybala del Bosforo”. Tutti, comprese Chelsea, Manchester City e Juventus. Alla fine fu Monchi, che lo scelse per rimpiazzare Salah, Di Francesco l’ha incoronato nel suo 4-3-3 e poi nel 4-2-3-1. Largo, pronto ad esplodere, pronto a cavalcare verso la porta avversaria e fare razzia nella retroguardia nemica. Il primo anno a Roma è terminato con 32 presenze e 8 reti, quest’anno già siamo a quota 6 in 23 apparizioni. “Lui ha una grande qualità nel preparare il tiro nascondendo il piede come faceva Montella – ha detto il tecnico dei giallorossi – ha la stessa capacità di esecuzione“.
Un tiro esplosivo, una gamba che sembra caricata come una balestra. “Alleno il mio tiro da tantissimo tempo. Mi piace dimostrare alle persone che sbagliano. Lo faccio da quando avevo 10 anni“. Il problema, adesso, è che a forza di dimostrare c’è mezza Europa su di lui. L’Arsenal ha già visto rifiutata una proposta di 60 milioni, il Bayern Monaco è pronto a fare pazzie. Monchi si sfrega le mani. D’altronde non si può mica chiudere l’Oceano in un bicchiere.