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Matteo Salvini, un rivoluzionario all’attacco
Pubblicato
2 anni fa|
Editor
Matteo Masum
Pittoresco e controverso, il personaggio di Matteo Salvini si è guadagnato il centro di quel palcoscenico beckettiano che è la politica italiana a suon di colpi di mano dialettici, cattive (ma nemmeno tanto) intenzioni e quello spirito da comunista senza rivoluzione che, dialetticamente, ha deciso di ancorarsi al leader più di destra che la storia repubblicana di questo paese ricordi. Un mix vitale e letale che ha tagliato in due il già complicato tessuto sociale della penisola, accendendo passioni e vecchi rancori; novello Dreyfus che attacca e non si difende, è Matteo Salvini l’unico politico italiano veramente degno di finire sui manuali.

La folla durante un comizio di Salvini a Milano
UNA VITA ALL’ATTACCO – Ha iniziato con la Lega, finirà con la Lega. Nei quasi trent’anni di attività politica, il partito nato al tramonto della Prima Repubblica ha sperimentato diversi mutamenti, ma Matteo Salvini è sempre rimasto lì, nella roccaforte della sua intera esistenza. Sì, perché per il resto, l’attuale ministro dell’interno non è che abbia così tante certezze. Poco brillante la sua carriera accademica, troppo vivace la sua vita privata. La Lega gli ha dato tanto, lui l’ha ripagata con tutto. Una vita all’attacco, contro lo Stato, contro l’Europa, contro i meridionali, gli immigrati, i presidenti della Repubblica. Salvini ha forzato così la mano a tal punto da non poter più tornare indietro. Sacchianamente (lui, grande tifoso milanista) condannato ad offendere, si è preso il governo di forza, e con ancora più forza lo sta tenendo.
LO SGUARDO INDIETRO – In pochi lo ricordano, e naturalmente lui non ne fa sfoggio, ma Salvini è stato tra i fondatori della corrente dei Comunisti Padani, e da adolescente era solito frequentare il centro sociale milanese Leoncavallo. Un passato curioso per colui che ha raccolto, nell’immaginario collettivo della parte più di destra del paese, l’eredità pesantissima di Mussolini, un altro che in gioventù aveva occupato il campo avversario, per altro con discreti risultati. E in effetti, il leader della Lega ha conservato quello spirito tra il battagliero e il barricadero tipico dell’estrema sinistra dei centri sociali, che oggi tanto disprezza. Una caratteristica che lo ha reso vincente, popolare, vicino al sentire comune degli italiani. Un passato a cui deve tanto, più di quanto possa e voglia ammettere.
UNA RIVOLUZIONE MANCATA? – Capo effettivo ed indiscusso del governo italiano, Salvini si è trovato a dover capitalizzare un consenso fortissimo, proveniente da una larga parte della piccola borghesia italiana, impoverita dalla crisi e dalla conseguente aggressione da parte del grande capitale internazionale, e da una fetta significativa della classe operaia. Costretto a dare risposta ad interessi contrapposti ed inconciliabili, Salvini ha pensato di fare come sempre. Attaccare. Ha guardato in faccia gli avversari, sfidandoli a sottrargli la palma di politico più amato. Lo ha fatto nella consapevolezza di avere con sé il vento di una fase che non si aspettava, ma che egli stesso ha contribuito a creare. Il prezzo della vita all’attacco, però, è perdersi chi ti ha spinto avanti, e che ora arranca alle spalle. Salito per fare la rivoluzione, l’impressione è che Salvini non possa mantenere le sue promesse.
Il rischio di una rivoluzione mancata turba le notti del Capitano. La sua reazione sarà quella di sempre.
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