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La Opinión

Buffon e ceffoni: in tv come per strada

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Buffon e ceffoni: in tv come per strada

La Juventus è uscita di scena dai quarti di finale di Champions League come meglio non poteva, ma al tempo stesso col finale peggiore che potesse progettare anche il più malefico dei registi thriller. Una rimonta epica, un tre a zero al Bernabeu casa del Real Madrid che aveva riaperto una sfida ampiamente chiusa, virtualmente, dopo la scoppola riservata dai blancos all’andata contro i bianconeri, all’Allianz Stadium. Poi, a venti secondi dalla fine, quel rigore: discusso, dubbio, imprevisto. Al punto tale da scatenare in Gigi Buffon il ragazzo da strada che è in noi, in tutti noi.

Quella generazione che è cresciuta per strada col pallone in mano e che disegnava porte sui muri o l’asfalto, con pietre e qualsiasi cosa potesse fungere da pali. Al contrario di quella odierna, con un joypad o telefono in mano, sul comodo divano e davanti a una console, a non imparare cosa sia la vita là fuori, a non forgiare un carattere che sarà messo a dura prova un domani, giungendo impreparati e senza giubbotto antiproiettile.

Quello che è capitato a Buffon, poteva succedere a chiunque ed è bello così. Perché la solfa del “capitano della Nazionale”, “dell’esempio per chi lo guarda dalla tv”, di chi deve “rappresentare l’Italia all’estero” è la barzelletta del secolo. Sono gente semplice, che gioca a pallone: non hanno cariche istituzionali, non sono politici o tanto meno dei preti. Non devono insegnare nulla a nessuno e niente hanno da insegnare, perché sono semplicemente nati con un talento, unico e banale: sanno giocare a pallone.

E se ti stai giocando l’ultima partita della tua leggendaria carriera nello stadio più importante del mondo, contro la squadra più blasonata di tutti i tempi e hai appena compiuto la rimonta più incredibile della Champions League ed un rigore dubbio ti porta via tutto questo, è naturale dare di matto. Perché si è uomini, si sta cercando di battere un avversario, si sta giocando: l’aspetto umano prevale su qualsiasi altro, perché per quanto assurdo lo si possa credere, i soldi in quel momento non sfiorano neanche lontanamente i pensieri di un atleta.

Chi si dimentica la rissa da far west al termine di Valencia-Inter nel 2007, la crisi isterica di Soviero, la battaglia impossibile fra Parente e Stam, i pugni di Delio Rossi a Ljajic. Lo stupore e sdegno generale, i giudizi e le accuse, il moralismo e becero perbenismo. Dimenticandosi che non sono lì per dare l’esempio ad alcuno, non sono nati e cresciuti per quello, non hanno chiesto di essere ripresi e mai preteso di ergersi a modello. Chi è cresciuto per strada lo sa bene, per primo ha vissuto le risse come pane quotidiano, magari finendo due ore dopo in pub a bere una birra assieme d il giorno dopo pronti a scannarsi di nuovo.

Buffon è uno di noi, Buffon siamo tutto noi, lo siamo stati.

Giornalista pubblicista, coordinatore presso SportCafe24 da oltre due anni. Amo lo sport in ogni sua forma e disciplina, raccontandolo con la voce di chi spesso non ne ha una, con un unico valore trainante. La verità: nel più profondo dei suoi significati.

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