Cronaca
Lombardia, Lega Nord e ‘legge anti-burqa’: che tristezza vedere le cose giuste fatte dagli uomini sbagliati
Pubblicato
5 anni fa|
Editor
Enrico Steidler
Sembra strano, ma una bella notizia a metà, a volte, può essere fonte di assoluto sconforto. La bella notizia a metà è questa: “Chi vuole entrare negli ospedali lombardi e nelle sedi della Regione – ha dichiarato ieri l’assessore alla sicurezza della Lombardia, Simona Bardonali, presentando il regolamento approvato dalla giunta presieduta dal leghista Roberto Maroni – dovrà essere riconoscibile e presentarsi a volto scoperto: sono quindi vietati burqa, niqab, così come passamontagna e caschi integrali. I gravi episodi di terrorismo ci hanno indotto a rafforzare le misure di sicurezza” (che entreranno in vigore nel 2016, ndr).
Bella notizia, quindi, ma solo in parte: il burqa e il niqab, infatti, dovrebbero essere vietati ovunque e non per ragioni di sicurezza, ma di civiltà: la nostra. Una civiltà, nota bene, edificata anche con le lacrime e il sangue di milioni di donne che hanno combattuto con grande coraggio per conquistare quella dignità che altrove è ancora oggi calpestata. Detto questo, resta solo la tristezza più assoluta, a partire dalle parole del ministro della Giustizia Andrea Orlando: “Siccome c’è la legge, non si avverte l’esigenza di inventarsene di nuove, che appaiono di sapore simbolico-propagandistico“.

Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia
E già, c’è la legge (n. 155/2005): “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo“. Peccato, però, che ci sia pure l’inganno: “Sulla interpretazione della clausola ‘senza giustificato motivo’ – si legge su Wikipedia – si è già espresso il Consiglio di Stato, che ha ritenuto la matrice religiosa e/o culturale un giustificato motivo per poter circolare indossando un niqab, un burqa, o un altro tipo di velo islamico che ricopra il viso”. Capito? Questa sarebbe la legge tirata in ballo dal ministro, e il provvedimento della Regione Lombardia, di conseguenza, è solo pura propaganda. Il bue che dà del cornuto all’asino, insomma, ma non è finita qui. Contro la decisione della giunta a maggioranza leghista si sono già schierati i presidenti del Piemonte Sergio Chiamparino, della Toscana Enrico Rossi, dell’Umbria Catiuscia Marini (“In Umbria negli ultimi anni abbiamo strutturato i servizi sanitari proprio affinchè si tenga conto delle donne che hanno culture e religioni diverse dalla nostra”) e della Calabria Mario Oliviero, che parla di “cultura della non-accoglienza sbagliata“.

Il velo chiamato Hijab
“Un atto amministrativo non può incidere su una libertà costituzionale come quella di professare e manifestare la propria religione”, tuona infine l’avvocato Alberto Guariso. Le norme approvate dal Pirellone, aggiunge il responsabile del servizio antidiscriminazione dell’ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione – annunciando un ricorso, sono in aperto contrasto “con la normativa italiana ed europea”. E invece no. La legge contro il velo integrale “persegue lo scopo legittimo di proteggere i diritti e le libertà altrui e di assicurare il rispetto dei minimi requisiti del vivere insieme“ sentenziò l’anno scorso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, chiamata in causa dal ricorso presentato da una ventenne contro la Francia (dove la norma che non piace a Guariso fu introdotta nel 2011 da Sarkozy). In pratica, dissero i giudici, ubi maior – i nostri valori civili – minor – certe ‘tradizioni’ – cessat. Tradizioni, sia ben chiaro, che non hanno niente a che vedere con le prescrizioni dell’Islam: il Corano, infatti, rende obbligatorio solo il cosiddetto ‘Hijab’, un velo paragonabile a quello indossato dalle suore.
Tiriamo le somme: c’è una cosa più sconfortante di tutta questa pletora di indignados? Sì, c’è, purtroppo, o meglio ci sono, perché le cose sono due. La prima è la forza politica (Lega Nord, innanzitutto, ma anche Fratelli d’Italia) che sta dalla parte della ragione, cioè la stessa forza che si oppone alla costruzione delle moschee – battaglia tanto scellerata quanto codarda – e che senza dubbio è quella più xenofoba e di scarse letture dell’intero parlamento. La seconda è la logica conseguenza: possibile che a difendere una causa così nobile e civile siano i serial-killer della tolleranza? Che sia un loro merito esclusivo? Dove sono finiti gli altri? Dove sono finite le anime belle dei diritti delle donne a tutti i costi? Quelli che si mobilitano e riempiono piazze e talk-show quando i nemici da combattere sono la società sessista e il marito manesco? Hanno delle remore di natura ‘culturale’, per caso? O hanno paura?
Enrico Steidler
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