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Agnelli-Tavecchio, la guerra infinita fra due perdenti
Provate a immaginare per un attimo – non di più, sarebbe uno sforzo inutile – che l’Italia sia un Paese normale. In un simile scenario, mai sperimentato in oltre 150 anni di vita unitaria, Andrea Agnelli e Carlo Tavecchio non sarebbero dove sono. Basta un attimo per capirlo: troppo compromessi, troppo impresentabili entrambi. Il presidente della Juventus, infatti, è il vorace rampollo di una famiglia che fu la causa della più umiliante disgrazia della storia bianconera, uno che lavorò “per anni al mio fianco – disse qualche tempo fa Luciano Moggi – e che sa perfettamente come funzionano le cose”. Nel Paese virtuale di cui sopra, i tifosi della Vecchia Signora scenderebbero in piazza per farlo sloggiare dal trono. Così non è, anzi.
SAME OLD STORY – Il numero uno della Figc, dal canto suo, è un noto collezionista di scheletri nell’armadio (dal 1970 in poi ha accumulato 5 condanne – falsità in titoli di credito, evasione fiscale, omesso versamento di contribuzioni previdenziali e assicurative, omissione o falsità in denunce obbligatorie e violazione delle norme anti-inquinamento – per un totale di 16 mesi di reclusione e 7000 euro di multa) e di passi falsi, diciamo così (dalla bananesca esternazione su Opti Pobà alle 60 mila copie del suo libro “Ti racconto… Il Calcio” fatte acquistare dalla Figc per la modica cifra di 107 mila euro): se questa fosse Italia, e non l’Italietta che è, Carlo Tavecchio sarebbe ineleggibile anche come amministratore condominiale, e invece fa il presidente della Federcalcio.
SILENZIO, PARLA AGNELLI – Tutto normale, insomma, compreso il feroce conflitto che da quasi un anno a questa parte oppone i due impresentabili appena descritti: era l’11 agosto del 2014, infatti, quando l’interista Tavecchio impugnò lo scettro della Figc grazie all’appoggio di Grandi Elettori come Galliani e Lotito, e da allora lo sconfitto Agnelliraptor (fervente sostenitore dell’alternativa-ectoplasma targata Albertini, cioè di se stesso) non perde occasione per affondare il colpo sul detestato rivale. Ultima, in ordine cronologico, la conferenza stampa di due giorni fa, quando il presidente bianconero ha interrotto lo sperticato – ma motivato – elogio della Juventus per far partire una bordata delle sue: “E a questo punto, un motivo di orgoglio per le tre squadre italiane che hanno onorato fino in fono le competizioni europee, la Juventus, il Napoli e la Fiorentina, queste ultime arrivate a un passo dalla finale di Europa League. Ma questo non è il successo del sistema calcio italiano (leggi Figc, ndr), ma solo quello di tre club che hanno lavorato molto bene“.
IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA – “Quando i risultati non sono all’altezza – ha replicato ieri il Tavecchiosauro – allora la colpa è della Federazione. Al contrario, quando i risultati sono importanti, la Federazione non c’entra niente. Bisogna mettersi d’accordo, sul quando e sul come. Agnelli ci tira sempre delle frecciatine? Non avrà soddisfazioni in Lega e scarica tutto sulla Figc. Io mi limito a dire – prosegue il sovrano arrotando la scimitarra – che la Federazione è l’organo che permette loro di giocare. Senza di noi non si potrebbe esprimere a livelli internazionali ed europei. In Lega i consensi si ricevono dalle società. Lo dico onestamente, Agnelli avrà i suoi problemi e non trovo corretto scaricare questo sulla Federazione”.
Ok, tiriamo le somme. Ai vertici del calcio italiano ci sono due uomini al di sotto di ogni sospetto impegnati in un conflitto inguardabile, una guerra di posizione che affonda le sue radici nella palude maleodorante di Calciopoli e che forse – proprio come il pantano da cui proviene – non vedrà mai la fine. A pagarne le conseguenze – soprattutto in caso di armistizi-inciucio last minute – è l’immagine di tutta la baracca, naturalmente, ma questo non importa ai nostri eroi. Loro hanno già perso ogni credibilità, infatti, ma sanno che in un Paese come il nostro ci sono tante belle cose che si possono vincere anche da sconfitti. Poveri noi.
Enrico Steidler